Un impressionante incendio si è sviluppato nel pomeriggio, devastando la parte alta della cattedrale di Notre Dame a Parigi. Le fiamme si sono sviluppate nel pomeriggio su un’impalcatura, provocando in un primo momento una minacciosa colonna di fumo. Poi le fiamme hanno avvolto il tetto e la guglia, fino a farla crollare, intorno alle ore 20. Per ore i cittadini di Parigi e migliaia di turisti hanno guardato il fuoco ardere la cattedrale eretta oltre 800 anni fa. I vigili del fuoco lavorano con le pompe e le autogru, impotenti nel tentativo di fermare l’impeto dell’incendio. Con il passare delle ore e il calare del sole, il fuoco
«In ogni negozio di dischi indipendente dove sono entrato, ne ho ricavato sempre qualcosa in termini di ottima musica e di sensazioni forti. Mi sento sempre un po' meglio quando esco da un posto così».
Mike McCready, chitarrista e fondatore dei Pearl Jam ha salutato così la scelta degli organizzatori del Record Store Day di nominare il suo gruppo ambasciatore della dodicesima edizione.
“Anno X”, in qualsiasi modo lo leggi il senso non cambia: non è un’espressione palindoma, ma da una parte o dall’altra è ugualmente significativa. E il doppio senso di lettura è arrivato per caso: «Un giorno mi sono trovato a scrivere su un foglio di carta “Anno X”, il titolo scelto per il film documentario», ricorda il regista Francesco Paolucci. «Per sbaglio, ho aperto il foglietto al rovescio e mi sono reso conto che usciva fuori “X Onna”». Proprio alla frazione più colpita dal sisma del 6 aprile 2009 è dedicato questo lungometraggio frutto di un lavoro collettivo durato oltre un
Nessuno se la sentì di fermare il flusso di gente che, per la prima volta, forzò le transenne ai Quattro Cantoni, per entrare a piazza Palazzo. Nel febbraio del 2010, dopo dieci mesi di emergenza, alle ferite del sisma si era sovrapposta l’ingiuria delle parole degli imprenditori che ridevano nelle famose intercettazioni da poco rivelate dai media. E questo aveva contribuito ad accrescere la tensione. Ma a spingere quelle transenne c’erano soprattutto decine di chiavi appese simbolicamente come per dire: “Qui ci sono le nostre case, il centro storico è nostro e vogliamo riprendercelo”. «Tornatevene a casa: disobbedite ai divieti.
La musica tra le crepe del sisma
Domenica 19 luglio 2009, sono da poco passate le undici di sera. Gli ultimi colpi di Born to run scavalcano le tribune dello Stadio Olimpico, quando Bruce Springsteen annuncia un pezzo che non suonava da tempo: «Questa è una canzone per la gente de L’Aquila», dice al microfono in un italiano incerto, ma con voce decisa. Poi fa cenno ai suoi di attaccare My city of ruins. Le armonizzazioni della strofa raccontano lo stato di abbandono e di degrado di Asbury Park, una cittadina del New Jersey che per decenni ha fatto i conti con le ripercussioni della Grande Depressione.
“Per L’Aquila e per chi ci ha lasciato”
“Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo”, scriveva Virginia Woolf. Un libro dietro ogni fiaccola, a raccontare un tempo che mai si è fermato in questi dieci anni. Un orologio che per tutti scandisce minuti, ore giorni da quelle 3.32 in avanti. È la sua percezione a cambiare, specie quando striscioni come quello in omaggio alle giovani vite spezzate, tra gli studenti, tornano a sfilare per via XX Settembre. “È triste leggere negli occhi di mamma e papà la
L’Aquila 2009-2019 – di sale e di sabbia
C’è un tempo nella vita di una persona che non coinciderà mai col passato. Ne porterà sempre un pezzo nella vita di tutti i giorni e si racconterà sempre al presente, usando una forma impersonale per rispetto ad un dolore che non può non essere condiviso. L’ossessione per i vetri e gli specchi può avere tempi precisi. Conta addirittura i secondi. Sessanta secondi. Sono tanti se si cominciano a contare ad uno ad uno dandogli il tempo dell’irreversibile. Un conto che non puoi fare alla rovescia. Per questo indeterminato, angoscioso. Uno, due, tre spira il vetro della televisione. Quattro, cinque,
Fa un uno strano effetto ascoltare oggi, dopo una ventina di anni, Miss Sarajevo, la canzone in omaggio a una città “dalla testarda urbanità che sopravvive agli inverni, ai cannoni, alle restrizioni alimentari, all’assenza di luce, acqua e gas”. Come per dirla con le parole di Paolo Rumiz che rendono giustizia a una comunità capace di centellinare ogni residuo comfort, di non rinunciare ai riti di un’antica vita borghese, ai suoi concerti, ai suoi spettacoli. IL TEMPO. La canzone propone un riferimento indiretto al Qoelet, il libro che descrive un tempo per ogni cosa, per nascere, per morire, per piantare,
Spuntano fra le macerie del centro con torce e biciclette come i Goonies di Richard Donner. Dribblano puntelli e transenne per esplorare questo o quell’edificio: ora una casa disabitata, ora un vecchio cortile, ora il palazzo della Prefettura, oppure il Forte Spagnolo, il cui accesso è rimasto precluso ai più dal 2009, salvo qualche eccezione. A un anno e mezzo da quella notte maledetta, un gruppo di ragazzini riesce ad aggirare divieti e zone rosse del centro storico del capoluogo, per creare qui un quartier generale, un “regno segreto”. Le loro storie, intrecciate a quelle dei loro genitori, fanno breccia