Dodici anni e un giorno negli strani meccanismi della mente che disegna geometrie inedite del passato. Chiudi gli occhi e ti sembra di rivivere quella notte scandita da sirene di ambulanze, odore di gas e polvere: nel buio le urla di chi è ancora sotto le macerie. Il ricordo è un brivido lungo la schiena, che a tratti toglie il respiro. Eppure, da quella notte sembra passato un secolo. Il 6 aprile 2009, alle 3.32, L’Aquila si svegliava in un incubo: parte della città semidistrutta, con molti palazzi inagibili, a partire dalle istituzioni, la Prefettura in macerie come la Casa

Anno 2002, il mondo contava ancora le macerie delle Torri Gemelle e i Pearl Jam si apprestavano a far conoscere la potenza silenziosa di una canzone, scritta per elaborare una tragedia vissuta in prima persona: due anni prima al festival di Roskilde in Danimarca, si erano visti morire davanti nove persone: “Lost nine friends we’ll never know – Perdemmo nove amici che non conosceremo mai”. Venne fuori così “Love Boat Captain”, uno dei capolavori di sempre, una canzone che, prendendo in prestito quel “All you need is Love” dei Beatles, restituisce un senso nuovo anche all’arte di riscoprirsi fragili. “It’s an art

Il ronzio del drone affronta il silenzio della notte, in attesa dei rintocchi in ricordo delle vittime del sisma. Un silenzio fatto di preghiere, ricordi e atomi di cemento accompagnati dal flusso d’acqua che scorre dalle fontanelle da un lato e dall’altro di piazza Duomo. Alle 21 in punto, ecco il fascio di luce che il drone è chiamato a catturare: sei grossi fari, raggiungono le nuvole all’istante. L’Aquila entra ufficialmente nel suo dodicesimo anniversario. Un’altra notte che sembra non debba finire mai, anche se ora c’è il coprifuoco a disegnarne i confini. RITO VIRTUALE. Un altro anniversario declinato in un

Se è vero che il cuore dei piccoli Federico ed Elena batte per L’Aquila, allora va preso il solenne impegno di riconsegnargliela, e pure in fretta, visto che sono passati 12 anni, più bella e più forte (cioè sicura) di prima. E l’impegno possono – anzi devono – prenderlo soprattutto i grandi. Perché se ci sono cuoricini pulsanti che sorridono con gli occhi da dietro una mascherina (maledetto Covid), davanti alla maestosità della facciata di Santa Maria di Collemaggio, non si può dimenticare che in questi giorni, in queste stesse ore, ma dodici anni fa, altri cuori si sono fermati. Trecentonove. E

Ore 3.35: non trovo i pantaloni. Al buio, non trovo i pantaloni. I jeans che avevo addosso la sera prima devono essere ai piedi del letto. Sono sicuro di averli lasciati lì, ma non li trovo. Mi sento un cretino se penso a tutti quei discorsi sulla prevenzione, con cui abbiamo riempito i giornali senza neanche capire quello che stavamo scrivendo. Sono rimasto a letto: ho aspettato che la scossa finisse e mi sono alzato, solo per abbracciare Sabina. Dalle crepe di una parete immagino che altrove il terremoto abbia fatto un casino.

«Nell’ultimo anno con la famiglia non abbiamo più fatto visita ai nonni; i miei genitori dicono che è pericoloso, potremmo farli ammalare di Covid. Mi mancano! Così come mi mancano le amiche della pallavolo e gli scout. Spesso mi sento sola. Anche la scuola è chiusa, prima a volte ci andavo mal volentieri, ma ora vorrei solo tornare in classe per rivedere i compagni e le maestre. La tristezza della solitudine a volte diventa insopportabile, ci sentiamo “abbandonati” da tutti, incapaci di sorridere ancora. Come Gesù ci troviamo accasciati al suolo».

La notte scorsa Rete 4 ha riproposto Jesus Christ Superstar. Parliamo naturalmente del film del 1973 diretto da Norman Jewison, ispirato all’omonimo doppio album e opera rock lanciati nel 1970 da Andrew Lloyd Webber con testi di Tim Rice. I protagonisti del film sono un gruppo di hippie che si fermano in un deserto e mettono in scena gli ultimi giorni della vita di Gesù attraverso gli occhi Pilato, Caifa, Pietro, di Maria Maddalena, ma soprattutto di Giuda, in un’opera rock dalla forza provocatoria e drammatica declinata in canzoni e scene memorabili. Parliamo di Heaven on Their Minds, del tema di Pilato, del passaggio nel

Venezia, anno del Signore 1605. Sullo sfondo della città dei dogi un magistrato goffo e pasticcione indaga sull’omicidio di un nobile caduto in miseria. Ricopre la carica di Signore di Notte, la magistratura alla quale la Serenissima Repubblica ha affidato la tutela dell’ordine pubblico, sei giudici e insieme capi della polizia. Il protagonista, Francesco Barbarigo, irrompe sulla scena del giallo anche con una buona dose di spocchia, dopo essersi incaricato delle indagini con una leggerezza pari solo alla propria impreparazione, che lo porterà a clamorose sconfitte prima di giungere alla soluzione del giallo, ma non ce la farà da solo.

Gabriel si appoggia sulla transenna che dà su uno dei cortili della new town di Bazzano. Lì c’è l’appartamento a ridosso di via Mia Martini le cui chiavi furono consegnate alla sua famiglia, la famiglia Fegheta, quel famoso 29 settembre 2009. Quel giorno, l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, riuscì a fare in modo che il suo 73° compleanno coincidesse con la cerimonia di consegna delle prime chiavi degli alloggi antisismici. Gabriel, oggi 23enne diplomato all’Alberghiero, era poco più che un bambino. Ma di quella circostanza ricorda tutto: tricolori, palloncini, giornalisti, curiosi. Persino il kit di benvenuto, con tanto di