[youtube=http://youtu.be/oyApFd1Ws20] Il cinema e l’arte come terapia oppure come strumento per raccontare la disabilità, per renderla meno distante dalle nostre vite “normali”, ma anche per far emergere disagi e denunce, come in Vietato ai disabili di Fabio Masi (2014), solo per citare un esempio recente; è in questo ambito che si colloca il lavoro di Francesco Paolucci, regista e sceneggiatore di La mano nel cappello, insieme a Giuseppe Tomei e Luca Serani.

Miguel de Cervantes, nello scrivere il suo Don Chisciotte non poteva certo immaginare quanta fatica si fa nel portare in scena le gesta del fantastico hidalgo. Specie se a provarci è una comunità di disabili, i cui volontari hanno poca dimestichezza con cavalli e cavalieri. Ma ecco che in aiuto del gruppo arrivano tre nuove leve del servizio civile che – per vari motivi – si trovano ad affrontare questo percorso insieme. Si gioca su queste premesse il film “La mano nel cappello”, un lungometraggio che nasce da un progetto in parte finanziato dal fondo 8xmille della Chiesa valdese.

Tutto parte dal tempo. E dallo spazio. Dalla percezione mutata di una città in cui 32 secondi ne hanno cambiato il volto. L’orologio disegna un presente sospeso, come se macerie e puntellamenti ci fossero sempre stati. Da quella notte del sei aprile è cambiato tutto, ma quanto è difficile trovare le parole per raccontare il passato e il presente all’Aquila. Ecco che, a cinque anni e mezzo dalla tragedia, i versi di Anna Maria Giancarli si infilano tra gli angoli delle periferie disorientate e tra i puntellamenti del centro. “E cambia passo il tempo”, un titolo (presentato in forma di

Studio practice in my home town L’Aquila Rec studio Music: Lucia Martinez Powered by @Magisto 

Un lavoro perso e poche speranze di «riciclarsi» in un’area già depressa prima del sisma. Due figli da aiutare a decollare, cercando di continuare a farlo col sorriso stampato sulle labbra, sempre e nonostante tutto. Senza un soldo in tasca a pochi giorni dal Natale. La storia di Flavio Cinque, dipendente dell’Atam fino al 6 aprile 2009, non è tanto diversa da quella di migliaia di altre persone che hanno perso il lavoro, all’Aquila e in Abruzzo, con 6-7 mensilità arretrate ancora da incassare, perché l’Inps procede con calma, e la certezza che il trattamento di mobilità in deroga si

Per chi aveva vent’anni nei primi anni 90, assistere oggi a un concerto dei Pearl Jam equivale a ripercorrere un flashback attraverso la propria vita. Eddie, Stone, Jeff, Mike e Matt sono cresciuti e maturati, il loro spettacolo è una lunga cavalcata ideata per regalare al pubblico il meglio della propria carriera, ma ogni sera in modo diverso, modificando sempre drasticamente la scaletta, facendo dell’imprevedibilità un asso nella manica che poche altre formazioni al mondo riescono a giocarsi in maniera altrettanto credibile. Uno show di tre ore nel quale i cinque musicisti americani (sei, considerata la presenza alle tastiere del

Noce, acero, castagno ma anche platano e frassino. Tutto reperito a due passi dal laboratorio. Le corde accarezzano il legno e compongono le note. Bassi, prevalentemente, oppure chitarre e violini a chilometro zero, frutto di un lavoro artigianale: quello di Nino Maurizi, da sempre appassionato di musica. Il laboratorio si trova a Scoppito, nella casa paterna. «Entrando in quella bottega», si è trovato a scrivere l’amico Fulgenzio Ciccozzi, «si apre un piccolo mondo che ci racconta frammenti di storia dal sapore antico, quando il mestiere dell’intagliatore era scandito dalla metodica precisione e dalla genuinità del lavoro dell’artista che manovrava sapientemente