Roberta Bruzzone, viaggio nella manipolazione affettiva mortale
“Un viaggio nella manipolazione affettiva mortale.” Così la criminologa Roberta Bruzzone parla delle sue Favole da incubo: il suo libro, uscito quattro anni fa, proponeva storie di femminicidi “da raccontare per impedire che accadano ancora”. Quelle stesse storie hanno ispirato uno spettacolo in scena sabato 14 dicembre al Teatro dei Marsi alle 21 in una serata organizzata da Elite Agency Group, Ferrini Spettacoli e Alhena Entertainment.
Un’analisi lucida, attraverso alcuni tra i casi di cronaca nera più sconvolgenti degli ultimi anni, degli stereotipi di genere che hanno provocato tragedie. La narrazione individua una serie di elementi ricorrenti che contribuiscono alla trasformazione di storie apparentemente meravigliose in incubi orribili, culminando nella tragedia finale dell’omicidio.
Attraverso la ricostruzione di alcuni casi di femminicidio tra i più sconvolgenti degli ultimi anni, Roberta Bruzzone, la cui narrazione è accompagnata da musica dal vivo, analizza i principali preconcetti culturali e sociali che hanno operato in queste vicende inconcepibili, eppure reali.
Laureata in Psicologia clinica, Roberta Bruzzone è psicologa forense e criminologa, esperta nelle tecniche di analisi, valutazione e diagnosi di abuso nei confronti di minori e nell’ambito della violenza sulle donne. Nominata ambasciatrice del Telefono Rosa Onlus nel mondo nel 2012, è autrice di numerosi libri in materia di psicologia e criminologia investigativa, criminal profiling, forme criminali emergenti e casi di omicidio. Ha all’attivo innumerevoli pubblicazioni, sia scientifiche che divulgative, dedicate alla psicologia e alla criminologia investigativa.
Lei tira in ballo il concetto di favola per spiegare situazioni estreme che continuano a riempire le pagine di cronaca.
“Una favola serve anche a questo. Qualsiasi tipo di favola. Anche le più celebri rivelano degli aspetti importanti della personalità e dei ruoli della coppia. Va detto che a noi arrivano solo le versioni edulcorate, ma anche un racconto come quello di Cenerentola va ben oltre i sogni e i desideri…”
Quando parla di stereotipi di genere, a cosa esattamente si riferisce?
“I maschi sono intelligenti, le femmine sono utili. I maschi sono ‘progettati’ per comandare, le femmine per accudire. Tanto per fare un esempio. Oppure, gli uomini devono provvedere economicamente alla famiglia e realizzarsi nel lavoro, le donne devono stare a casa. Questi sono solo alcuni degli stereotipi di genere più comuni che ancora permeano la nostra cultura. Pensate che siano in gran parte retaggi di un passato ormai superato? No, non è affatto così. Gli stereotipi di genere sono tra noi, ogni giorno. E no, non sono affatto ‘innocui’, come molti sembrano considerarli”.
Da dove nasce il pericolo sociale?
“Stereotipi, pregiudizi e tabù a cui hanno obbedito un po’ tutti: le vittime, gli assassini, l’opinione pubblica e perfino i media che ne hanno parlato. Il quadro che ne emerge non è consolatorio: le idee sessiste sono ancora molto radicate, in ognuno di noi, senza distinzioni di condizione economica e culturale. Questo getta le basi per rapporti tossici che possono sfociare in episodi di violenza”.
Di qualche giorno fa la sentenza d’ergastolo per Filippo Turetta, il 23enne che nel 2023 uccise con 75 coltellate l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. che idea si è fatta?
“La questione è complessa, soprattutto per quanto riguarda il tipo di rapporto che una persona come Turetta, con evidenti segni di narcisismo patologico, instaura con la vittima. Il narcisista punta al controllo totale della vita della vittima, che spesso non si rende conto di essere tale. Il controllo si maschera da cura, attenzione, amore. Inoltre, chi subisce questi atteggiamenti può trovarsi in un bivio: fuggire da una relazione opprimente o restare, cercando di fornire supporto al narcisista. Giulia avrebbe dovuto fuggire, ma è rimasta accanto alla vittima. Anche per questo, è stata esclusa l’aggravante dello stalking”.
Il narcisismo potrebbe in qualche modo essere amplificato dai social?
“Non ne sono convinta. I social sono gli strumenti, è l’uso che se ne fa a fare la differenza. Posso usare un coltello per uccidere ma anche per tagliare la torta”.
l’uccisione di Christopher Thomas Luciani nel parco Baden Powell di Pescara lo scorso giugno ha scosso parecchie coscienze. una storia che nessuno avrebbe voluto raccontare.
“Si tratta di una storia che tira in ballo figli di famiglie ‘bene’, cresciuti con modelli educativi sbagliati. Sono cresciuti in un clima di impunità e di onnipotenza, nell’illusione di poter fare quel che si vuole. Ad uccidere Thomas è stato anche il fallimento di un sistema che registra la totale assenza delle famiglie nel processo educativo”.