Marco Valeri e la metafora “medica” del disastro
Nello scrivere il suo monologo non poteva certo immaginare che la metafora utilizzata per raccontare i fatti del 6 aprile 2009 fosse di stretta, strettissima attualità. Marco Valeri, attore e regista aquilano, si è limitato a ideare, concepire il suo spettacolo “Il dottore e lo specialista… metafora di un disastro”, prendendo spunto da una sua lettera scritta ai propri concittadini alle prese con una ferita che dopo 11 anni è ancora aperta, approfondendo vari aspetti legati a quegli eventi tragici.
Una ferita individuale e collettiva ancora lungi dal cicatrizzare. Eppure, l’immagine “sanitaria” giunge alle nostre orecchie con un’eco diversa, in questi giorni in cui l’attenzione di tutti è concentrata sugli sviluppi legati all’emergenza del coronavirus. Questo, Valeri non poteva certo saperlo, anche se il suo monologo, guardato dalla prospettiva attuale, assume inconsapevolmente un valore aggiunto in relazione alla capacità di descrivere e raccontare le dinamiche del presente.
Reduce da una serie di sold out, alla casa del Teatro dell’Aquila e al Teatro Trastevere di Roma, il monologo racconta quello che è successo all’Aquila, prima e dopo il terremoto, mettendo in luce tutte le falle del sistema, a partire dagli aspetti legati alla prevenzione e alla comunicazione. La scenografia è piuttosto essenziale: tre colonne tappezzate di prime pagine dei giornali (si riconoscono i titolo che il Centro dedicò alle prime settimane dell’emergenza sisma). Ma sul palco non si parla di terremoto in maniera esplicita, anche se i riferimenti, per chi ricorda come sono andate le cose, sono ben evidenti. Protagonista della storia è un uomo che sta perdendo la propria gamba, un uomo che vive al fianco di un dolore e nella tristezza che esso comporta.
La vicenda diventa una confidenza in cui emerge lentamente la ricerca di una chiarezza, «una spiegazione», sottolinea Valeri, «che permetta di capire il perché di una tragedia e il voler guardare oltre la debolezza». Ma c’è dell’altro, la malattia diventa anche un’occasione di consapevolezza: i balzi logici interni alla narrazione sono strappi volti a pungolare, creare domande al fine di offrire un punto di vista inedito, con al centro i valori, le incertezze, il rapporto con il potere. «Per fortuna che c’è Mario: poveretto ha una malattia che sono in pochi ad averla», recita il monologo a un certo punto, «ma chi ce l’ha soffre, soffre parecchio. Mario ha una malattia che è la malattia del secolo: Mario ha la memoria!».
Valeri, quanto è importante guardare con lucidità a quello che è successo?
Credo che sia fondamentale e non solo, nello specifico per il caso legato alla città dell’Aquila. La narrazione, infatti, prende solo spunto dai fatti legati alla mia terra, per analizzare tematiche specifiche e puntuali che hanno a che fare anche altre zone del nostro “Bel Paese”. Dolore e resilienza individuali diventano collettivi e viceversa.
Come ha concepito questa metafora “medica”?
Avevo fra le mani una lettera aperta che avevo scritto per condividere con la mia gente, ma anche con chi guardava la nostra vicenda da fuori, notizie, impressioni e dinamiche di tutto quello che è successo: sin dai giorni precedenti all’evento sismico. Come non far riferimento, ad esempio, al dibattito legato alla prevenzione, alla Comissione Grandi Rischi e alla sottovalutazione del pericolo? E poi, la gestione emergenziale del territorio con tutto quello che ha comportato. Da qui, ho sviluppato il racconto, inserendovi questa metafora per sottolineare il forte legame fra disastri e l’incuria, l’indifferenza o gli interessi di terzi.
Incuria, iniziative individuali, egoismi, sottovalutazione del pericolo. dinamiche che sembrano sovrapporsi a questi giorni di emergenza sanitaria, reale e non metaforica, legata al coronavirus.
Anche qui assistiamo a corto-circuiti legati alla comunicazione che possono produrre delle ripercussioni serie in materia di prevenzione. Molta gente dalle nostre parti ha dato prova di scarso buon senso nel recepire le indicazioni delle autorità politiche e sanitarie. Viviamo in un momento in cui chiunque si sente in dovere di esprimere un’opinione. C’è bisogno di un’autorevolezza a livello istituzionale per coordinare le attività. Al contrario, nel periodo delle tendopoli esisteva una sola narrazione nel bene e nel male. Ricordate, ad esempio, quando il volantinaggio era vietato?