Il Salento di Winspeare
di Fabio Iuliano
“La mia terra è il microcosmo da cui partire per mettere in scena storie universali”. Il cineasta Edoardo Winspeare non è affatto stanco di raccontare il suo Salento. Alla pari nei suoi lavori precedenti, tra cui Sangue Vivo e Il miracolo, il suo ultimo film, Galantuomini, attualmente in programmazione nelle sale italiane, è interamente ambientato nella sua terra di origine. Venerdì scorso, il regista è stato ospite del cinema Massimo, dove ha presentato al pubblico cittadino la sua produzione che ha riscosso un buon successo al recente Festival di Roma. Proprio nell’ambito della kermesse capitolina, è stato assegnato il Marc’Aurelio d’Oro per la migliore attrice a Donatella Finocchiario, a fronte di un’interpretazione poliedrica, accanto agli ottimi Fabrizio Gifuni e Beppe Fiorello. A fare da spalla a Winspeare, sul palco del Massimo è salito il direttore della fotografia Paolo Carnera. Entrambi figurano tra i docenti dell’Accademia dell’Immagine diretta da Gabriele Lucci che ha moderato la presentazione. In sala anche il regista marsicano Stefano Chiantini che proprio al Massimo, la scorsa primavera, ha presentato il suo film L’amore non basta. Tra il cast tecnico di Galantuomini figurano anche il montatore Luca Benedetti (la cui assistente è Arianna Zanini, una diplomata della scuola aquilana), e l’operatore steadicam Marco Martelli entrambi collaboratori accreditati dell’Accademia. Sullo sfondo in penombra di una Lecce degli anni ’90, Galantuomini racconta la storia di Ignazio (Gifuni), uno stimato giudice che è da poco rientrato in città dopo aver lavorato per molti anni a Milano. Rivede Lucia (Finocchiario), la donna di cui è sempre stato segretamente innamorato fin da piccolo. Lucia è diventata il braccio destro del boss Carmine Zà, uno dei capi della Sacra Corona Unita. Una storia d’amore impossibile che si muove sul terreno del melodramma. “Siamo sullo sfondo di un Salento che ha perso la sua innocenza”, commenta Winspeare. “Il film pone un dilemma shakespeariano della scelta tra le regole e la passione”.
A cosa è legata la scelta del titolo del film?
È qualcosa profondamente radicato al mio Salento. Con questo titolo evoco una terra di “galantuomini”. Una società fatta di borghesi e professionisti che si è affermata generazione dopo generazione. Ignazio è un “galantuomo” che non trova più l’isola felice che conosceva. Non riconosce più nulla della sua terra. Il Salento inizia a fare i conti con la criminalità organizzata.
Quali aspetti ha privilegiato per parlare della Sacra Corona Unita?
Ho rinunciato a qualsiasi intento documentaristico sulla Sacra Corona Unita per concentrarmi sulla storia d’amore tra Ignazio e Lucia. La vicenda si sviluppa in un momento in cui la criminalità pugliese stava giungendo al suo culmine, prima di capitolare alla giustizia, in quanto priva di vere fondamenta a stampo mafioso. Spesso i membri delle cosche erano piuttosto delinquentelli da bar.
Spesso i dialoghi tra le cosche sono in dialetto salentino e hanno i sottotitoli. Una scelta di stile precisa?
Dopo Gomorra di Garrone i produttori sembrano digerire meglio le forme dialettali. Non potevo raccontare le vicende interne alle bande con dialoghi in italiano. In questo ho avuto la complicità di Fiorello che ha imparato in fretta il salentino stretto, ma anche di Gifuni il cui accento nel film rispecchia esattamente quello di un “galantuomo” salentino.
Chi sono i protagonisti?
Da una parte abbiamo due mafiosi (Fiorello e la Finocchiaro) dall’altra i due giudici, accanto a Gifuni lavora gioia Spaziani. Questi due hanno giocato a fare gli intellettuali dentro e fuori il film. Ad esempio, c’è una scena in penombra dove Gifuni sta preparando le valigie. Pur consapevole che nessuno l’avrebbe mai notato, Fabrizio ha preteso di avere in mano un libro di Benedetto Croce.
E la Finocchiaro?
Senza rinunciare alla femminilità, incarna la figura solida e strutturale delle donne boss. E’ un animale da set che sente la scena, sente la luce, a volte proprio improvvisa. Nel film corre, piange, fa l’amore, si mostra in tutta la sua dolcezza ma spara anche. E’ ‘fimmena’. (Il Centro)