Fresu e il ricordo di Chet Baker
23 Gennaio 2024 Condividi

Fresu e il ricordo di Chet Baker

Se l’arte non è da considerarsi protagonismo, ma voglia di comunicare, c’è qualcosa di evocativo e quasi di “mistico” negli arrangiamenti declinati da Paolo Fresu, Dino Rubino e Marco Bardoscia. Il trio ha cominciato a suonare nell’ambito di un progetto teatrale avviato dal Teatro Stabile di Bolzano, con regia di Leo Muscati. Il progetto, dal titolo Tempo di Chet – La versione di Chet Baker ha poi conosciuto un’evoluzione parallela separando la parte musicale dal recitato.

Dopo aver portato avanti concerti in Italia e in Europa, i tre raggiungeranno venerdì l’università di Teramo per il primo dei due appuntamenti della rassegna Let’s Get Lost – storie di uomini e di jazz, il cui nome è inteso come un omaggio allo stesso Baker. Appuntamento nell’Aula magna Benedetto Croce alle 21.15, lo stesso spazio che domenica 5 maggio ospiterà alle 17.30 Rocco Papaleo e il suo Divertissement. La rassegna è organizzata dall’associazione Music by Eder e vede come riferimento Emiliano Di Serafino, Eder appunto, che nel corso degli anni ha contribuito a far transitare nella provincia di Teramo dei nomi enormi della musica internazionale tra cui Lou Reed, Carl Palmer, Jethro Tull, Goran Bregovic, oltre a Conte, Battiato, Pfm. Il jazz è stato sempre presente nella sua programmazione, così come un’attenzione particolare nei confronti di Chet Baker.

L’impronta del trombettista e cantante statunitense è ben riconoscibile nell’evoluzione musicale di Paolo Fresu. “Chi era realmente Chet Baker?”, si è trovato a scrivere quest’ultimo in un approfondimento su Rolling Stone. “Il mito di Chet Baker si compone alla velocità della luce: è quello dannato di chi cammina di lato, rasente i muri, schiva la normalità e assaggia gli eccessi. La sua parabola è consueta e ha i lineamenti dell’ascesa e caduta di un mito: il successo, le copertine, le donne pescate dal mazzo come carte da gioco, i figli. Poi un atto dovuto, come pegno da restituire per tanta fortuna insperata, per i colpi violenti prevedibili (l’andirivieni dalle carceri, i processi, l’estradizione da mezza Europa), e per quelli che precipitano addosso inattesi, (il talento che sembra andare in fumo, una morte che non t’aspetti). E la vita presenta il conto”. Il riferimento è a quel 13 maggio 1988, giorno in cui il corpo senza vita del musicista americano fu trovato in circostanze misteriose nella periferia della città di Amsterdam.

Fresu, il vostro è un omaggio a uno dei trombettisti più influenti del jazz di tutti i tempi
Il concerto è parte di un lavoro teatrale con 8 attori in scena il cui testo è stato elaborato prima del periodo di restrizioni legate alla pandemia. Da questo ne abbiamo tratto una versione tutta nostra, in cui sono affiancato da Dino Rubino al pianoforte (occasionalmente anche lui suona il contrabbasso) e Marco Bardoscia al contrabbasso. Raccontiamo quella che è stata la sua storia e suoniamo sulle sue vibrazioni. Una formula fortunata con cui abbiamo fatto circa 120 repliche, suonando molto anche all’estero.

La sua musica lascia molto spazio alla sperimentazione. quanto si sente legato alle creazioni di Chet Baker?
Chet Baker – come anche Miles Davis – ha lasciato un segno nella mia formazione musicale. Se suono nel modo in cui suono lo devo a loro, al loro approccio sullo strumento, così come sul loro modo, diverso, di contribuirne all’evoluzione. Entrambi hanno un timbro ben preciso che in qualche modo mi porto dentro, alla pari di tanti musicisti della mia generazione.

Per lei si tratta di un ritorno in Abruzzo “a stretto giro”. solo qualche settimana fa è stato protagonista della serata Jazz Xmas con Daniele Di Bonaventura al bandoneon e la violoncellista Leila Shirvani
Una bellissima serata in cui ho ritrovato l’affetto di un pubblico davanti al quale non mi stanco mai di suonare.

E dire che ne ha fatti di esperimenti particolari nel capoluogo, come quella volta che, insieme al fisico Eugenio Coccia, cercò di emulare il suono delle onde gravitazionali
Che esperienza, quasi non la ricordavo. C’è da dire che sono molto legato alla comunità dell’Aquila.

Un legame che si è consolidato con il grande regalo che il movimento del jazz italiano ha fatto a questa terra: la maratona di fine estate dedicata alle terre del sisma
Ho un brivido se ci penso a tutto quello che è stato, a partire dalle prime edizioni con migliaia di persone incuriosite da questo flusso di 700 musicisti arrivati in città per suonare in ogni piazza o strada del centro. E poi quel grande concerto a San Bernardino, nella prima domenica, nel 20215, con forse 15mila persone stipate su quella scalinata. Finito di suonare, dovevo spostarmi velocemente in piazza Duomo, ma tutti cercavano di fermarmi per esprimermi gratitudine. La manifestazione è poi cresciuta, abbracciando anche le terre del centro Italia e quest’anno festeggerà la decima edizione, con il sistema dei tre direttori artistici studiato per garantire rinnovamento, anche a partire dal contributo dei giovani.

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro