Cinema, la crisi tutta italiana
20 Febbraio 2022 Condividi

Cinema, la crisi tutta italiana

Allarme per la sopravvivenza delle sale in Italia: “mancano all’appello 500 schermi su i circa 3.600 che abbiamo riferiti a 1.300 strutture. Andiamo verso un -20% e se non si prendono provvedimenti presto il settore è a rischio”, riporta all’Ansa il presidente dell’Anec (Associazione nazionale esercenti cinema) Mario Lorini che rappresenta gli esercenti. “Sono urgenti iniziative strutturali di sostegno, prima fra tutte la definizione ‘dinamica’ della finestra tra la distribuzione in sala e sulle piattaforme, 90 giorni potrebbe essere un primo fondamentale passo”, aggiunge.

Un caso che è tutto italiano: in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna e nel resto d’Europa finiti i tempi del lockdown e delle restrizioni più pesanti il pubblico è tornato a vedere i film in sala. Un problema legato alla distribuzione delle pellicole, ma anche a provvedimenti a dir poco disincentivanti come il divieto di mangiare popcorn o altro cibo in sala.

L’Anec ha convocato ieri un incontro anche per chiamare all’unità tutto il settore: dagli attori – è intervenuto Fabrizio Gifuni in rappresentanza di Unita – ai distributori, con il presidente Luigi Lonigro. I dati sono abbastanza brutali: gli incassi del cinema e pure le presenze hanno avuto una flessione nel 2021 rispetto agli ultimi anni pre-pandemici: si è perso oltre il 70%, in un mercato “già tradizionalmente debole rispetto all’Europa”.

Le sale sono avamposti nei territori, sono luogo di socialità, sono importanti per la ripartenza economica e vanno difese, è l’appello di tutto il settore. Ma sono ancora così centrali in un’epoca che in due anni ha visto uno stravolgimento delle abitudini con spettatori inchiodati al divano, prima per obbligo sanitario e ora per scelta? “Lo spettatore – riflette Lorini – è disorientato: dal tanto prodotto, dall’offerta ridondante delle piattaforme, per questo crediamo che mettere ordine sia fondamentale. Eravamo già vicini ad un accordo, pensiamo che 90 giorni tra l’uscita in sala e la programmazione sulla piattaforma siano un passo iniziale”.

“Caso italiano” significa anche caso di film italiani: quest’anno, e i dati non lasciano margine agli equivoci, il nostro cinema è andato male, performance bassissime in sala: delle 353 uscite, 153 erano made in Italy e la quota di incassi intorno appena al 20%, concentrata poi su solo 5 titoli, “i restanti film non sono stati visti, capiti, intercettati”, aggiunge. Ma la contraddizione attuale è che la produzione va alla grande: 900 progetti di film , per quanto il 30% ideati per le sale.

“L’unico strumento”, riprende Lonigro, “è l’esclusività. La sala di colpo ha perso questa sua prerogativa e solo un intervento politico forte può cambiare e cose. I legislatori devono decidere con i fatti se la sala è un presidio forte o no, produttivo, economico e sociale. Occorre la volontà politica di salvaguardare questo luogo fisico, e regole subito”. Poi, come sottolineato dall’associazione, si passerà ad altro: ingressi senza mascherina come già accade altrove, promozioni forti per gli under 18, alfabetizzazione scolastica, nuovi spot, e infine cambiare in multiprogrammazione e dunque rendere più duttile la programmazione delle sale è una mossa che già trova tutti d’accordo. La sala ha bisogno di tornare cool (come è ora il teatro ad esempio), ma è una sorta di Squid Game, se non si riesce si muore o perlomeno si accetta di non essere più il luogo centrale che abbiamo vissuto”.

Fonte: www.thewalkoffame.it 

Photo by Erik Witsoe on Unsplash