Beppe Dettori presenta il suo Animas
8 Febbraio 2022 Condividi

Beppe Dettori presenta il suo Animas

Interconnessioni tra generi, come folk, etno-rock, canzone d’autore, il progressive, la sperimentazione e l’elettronica. Questi gli elementi di “Animas” l’album concepito dalla collaborazione del cantautore Beppe Dettori e l’arpista Raoul Moretti, un universo musicale in cui il mondo arcaico e quello moderno si incontrano, per raccontare il contemporaneo con le inquietudini, le angosce, la speranza e la voglia di rinascita dell’animo umano.

Un album scritto a quattro mani, che raccoglie l’urgenza creativa di Beppe e Raoul, dovuta al blocco dell’attività dal vivo. Con 10 brani inediti e una cover in italiano, sardo con variazioni territoriali, versi in inglese, latino e dialetto “laghee”, e una rivisitazione di un brano di Peter Gabriel tradotto in sardo, questo disco rappresenta la vera essenza dei due artisti. I dieci brani vedono anche la partecipazione di artisti locali, nomi accreditati anche a livello internazionale, o entrambe le cose: Paolo Fresu, Stefano Agostinelli, Max Brigante, Cordas et Cannas, Federico Canu, Massimino Canu, Massimo Cossu, Tenores de Bitti Remunnu ‘e Locu, Concordu e Tenores de Orosei,  FantaFolk, Flavio Ibba, Gavino Murgia, Franco Mussida, Daniela Pes, Lorenzo Pierobon, Andrea Pinna, Giovannino Porcheddu, Davide Van de Sfroos.  

Leggi anche: L’esperienza del Saltarello su un piano internazionale

Attivi dal 2012, nel 2019 è stato hanno lanciato lancio il disco live “S’incantu e sas cordas” (Premio Archivio Cervo, miglior album sardo dell’anno) e nel 2020 “incanto Rituale, omaggio a Maria Carta” (finalista alle Targhe Tenco, come migliori interpreti).

“Con Raoul”, spiega Dettori, “abbiamo continuato a sperimentare un proficuo ‘scambio artistico’ composto di interconnessioni tra generi. L’album mantiene la nostra cifra stilistica tipica, basata su ricerca vocale, arpa elettrica con elettronica e chitarra, ma in più abbiamo avuto l’enorme privilegio di accogliere splendidi amici compagni di viaggio”.

Dettori, sperimentazione e contaminazione sono alla base della sinergia con Moretti. Come avete portato avanti un repertorio così variegato, anche in virtù delle tante collaborazioni che siete riusciti a tirare in ballo?

Io e Raoul ci conosciamo e suoniamo insieme dal 2012 circa. Abbiamo prima suonato in quartetto con Fisa e mandolino che si univano alle nostre corde. Poi siamo riamasti in due e appurato che ci si poteva sostenere a vicenda e quindi funzionava, iniziammo a fare concerti sia sull’isola che in altre località italiane. Le collaborazioni sono nate nel momento in cui abbiamo voluto condividere l’esperienza delle nostre “corde” con alcuni amici che si sono resi subito disponibili, mettendo le loro anime e la loro arte al servizio dei brani che sottoponevamo loro.

“Voglio bene ai paesi e a tutta la terra che hanno intorno, al grano che cresce sulle frane”, così scrive il poeta Franco Arminio. In alcuni vostri arrangiamenti si respira l’odore della terra di Sardegna. Quanto è importante per voi mantenere contatto con le proprie origini, in musica e nella vita?

Assolutamente sì! Ho vissuto fra Lombardia e Piemonte per circa 25 anni. Ho deciso di ritornare in Sardegna nel 2010. Raoul si è trasferito da Como a Cagliari anche lui nel 2010. Entrambi abbiamo capito l’importanza e l’appartenenza alla terra così misteriosa e magica. La tradizione musicale è talmente ricca e continua a fornirci spunti da interconnettere ad altre tradizioni, facendo così alimentare il genere in cui noi ci riconosciamo cioè la World-Music.

Sempre restando sulle suggestioni liriche del poeta campano, a volte stare sulla terra è come “stare sul lato oscuro della luna”. Un senso di smarrimento e inquietudine che lunghe intro e code strumentali dei vostri brani sanno restituire, penso a Continuum, Oro e diamante, Eziopatogenosi, Figiurà. Si tratta di un effetto cercato?

È un po’ il nostro stile allungarci nelle intro, per introdurre un processo meditativo che la musica veicola nei nostri cuori e in quelli di chi ci ascolta. Un viaggio di onesta creatività e di studio attento alla coesistenza delle tradizioni distanti e differenti.

Cosa resta dell’esperienza con i Tazenda?

Un’esperienza meravigliosa, edificante e frenetica. Tutto insieme! Fa parte dell’altra mia anima che si manifesta maggiormente nel pop d’autore, sia in Limba che in italiano. Cerco di portare avanti entrambi i progetti destreggiandomi in questi due mondi che comunque un po’ si somigliano. I Tazenda restano un’entità artistica leggendaria che dalla fine degli anni ’80 ha creato un vero e proprio stile e ancora oggi continua la sua storia.

Queste suggestioni musicali, a tratti ipnotiche, incontrano delle liriche profonde come quelle di Anime confuse, brano impreziosito peraltro, dai fiati di Paolo Fresu. Come nasce l’idea di mettere in musica un concetto che sembra parafrasare le parole del Vangelo: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” 

Paolo ci ha fatto questo enorme regalo riuscendo a calarsi in modo perfetto a quello che è il brano centrato su un “pedale” ipnotico e sui versi scritti a quattro mani da me e il poeta Leonardo Omar Onida. Il senso del brano è la speranza, il Rinnovamento della coscienza, la rivitalizzazione dell’animo umano, affinché avvenga un vero cambiamento consapevole.

Cosa c’entrano le distopie di Orwell in un progetto come il vostro?

Sono il centro del disagio in cui viviamo e il futuro in cui siamo diretti se non si riuscirà a porre rimedio. Il titolo può trarre in inganno dal messaggio di speranza che si evince dal testo ripetuto volutamente come un mantra.

Italiano, latino, inglese – che fa parte dei suoi live da tempo – e sardo.  I testi si aprono a quattro dimensioni linguistiche, anche nella cover di Peter Gabriel che propone un’inedita traduzione ritmica. Qual è il suo rapporto personale con la tradizione musicale sarda?

In continua evoluzione e studio. Il suono della voce. I suoni vocali e gutturali del coro a tenores mi fanno riflettere su come da circa 4.000 anni ad oggi l’uomo cerchi di connettersi con il mondo naturale e animale. Appunto il coro imita i versi degli animali, non sono suoni onomatopeici fine a se stessi, ma hanno un vero e proprio compito di connessione e ringraziamento verso la vita e gli animali che consentono il prosieguo di essa. La stessa tradizione arcaica è presente nella Repubblica di Tuva e in Mongolia, nonché in Tibet e in Canada…E anche in Sardegna. Perciò sono molto grato alla mia terra che mi consente di godere di questo immenso patrimonio culturale che porta solo benessere all’anima e mi fa scivolare addosso gli attaccamenti a cui ero legato prima di scoprire questa bellezza.

di Fabio Iuliano – fonte: www.thewalkoffame.it