Nella Caserma che accolse anche Obama
L’inno nazionale, l’alza bandiera e poi il ricordo del finanziere virtuoso. Ogni giorno, alle 7 in punto, con i passi degli allievi della Scuola ufficiali a scandire i tempi. Le giornate alla Caserma di Coppito partono così, un rituale che si rinnova ogni mattina, d’estate e d’inverno. Così oggi, così otto anni fa. Quando la struttura si apriva prima alle ferite di una città segnata dal sisma e poi ai volti dei grandi del G8. Quartier generale del Dicomac, la struttura di coordinamento dell’emergenza, così come della Protezione civile, la caserma ha ospitato funzionari, tecnici, squadre di soccorso, giornalisti, delegazioni politiche ma anche sfollati. Perché per mesi, centinaia di posti letto all’interno della scuola furono messi a disposizione di chi aveva perso, anche solo temporaneamente l’abitazione dopo il sei aprile. Imponenti le misure di sicurezza, con pass che cambiavano di settimana in settimana. Un lavoro non da poco, considerando anche le scosse continue. L’arrivo dei grandi della terra fece rivoluzionare tutto, a partire dal design inedito del Palasport per l’area allestimento meeting. Nulla fu lasciato al caso, ad esempio, conoscendo la passione di Obama per il basket, il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, fece erigere un canestro davanti alla porta-vetrina dell’alloggio di Obama.
Per la settimana del G8, la caserma restò isolata dal mondo esterno, nucleo di una città totalmente militarizzata. Una fortezza sede del summit in una città blindata, negozi con le saracinesche abbassate, misure di sicurezza al massimo, persino le attività tecniche dei consulenti della procura della Repubblica legate all’inchiesta si interruppero quella settimana. Dopo il vertice la caserma rimase aperta al pubblico che ha potuto vedere di persona dove hanno alloggiato i potenti del mondo. Decine di schermi a seguire le visite istituzionali dei capi di stato nelle aree colpite dal sisma. Un sistema di “pool” regolato dall’ufficio stampa della Protezione civile che permetteva solo a determinati operatori di seguire gli eventi, spesso senza microfoni. Ma anche un’orchestra a servizio dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a cui si deve la scelta di trasferire all’Aquila il G8. In un angolo della sala della stampa, gli uomini e le donne di One, l’organizzazione di Bob Geldof, il cantante che si è inventato il Live aids a favore dell’Africa, chiamavano a raccolta i giornalisti ricordando gli impegni dei Grandi al passato G8.
«Chi muore di fame non può aspettare, ognuno deve fare la sua parte», aggiungono. Fogli e volantini di organizzazioni, come ActionAid, il Munk centre di Toronto, Axfon, Save the Children, piovevano sui tavoli con appelli all’economia in affanno, per il cibo che scarseggia, per l’acqua che non basta per tutti, per l’inquinamento che sta soffocando il pianeta. Fuori, i comitati spontanei a chiedere maggiore condivisione nelle scelte della ricostruzione. Quello “Yes we camp”, lo slogan simbolo del G8, sistemato sulla collina di Roio, in un’area visibile anche da Coppito. E la Caserma è rimasta a lungo di aggregazione, con concerti memorabili, tra Morricone, Baglioni, Morandi. Passerelle di registi, come Verdone e Tornatore. Col tempo, ha ripreso progressivamente le sue funzioni, pur continuando a ospitare presentazioni e concorsi.
di Fabio Iuliano – fonte: il Centro
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