Radio L’Aquila Ugo, la puntata sul cammino
Ciao a tutti e benvenuti ad una nuova, imperdibile puntata di “Radio L’Aquila Ugo”, il vostro approfondimento preferito di musica, letteratura e curiosità condotto ogni settimana da Ugo Capezzali sulle mirabili frequenze di Radio L’Aquila Uno. Anche oggi ne sentirete delle belle, anche oggi è con noi un clamorospite.
Come ci ha suggerito la settimana scorsa il mitico Vanni Biordi, oggi parliamo di… cammino. Il cammino, che sia fisico o spirituale, è un concetto fondamentale in ogni cultura, in ogni civiltà, in ogni tempo. Scrittori, musicisti, messia, tutti hanno affrontato questo tema, da miliardi di sfaccettature e significati, spesso per arrivare alla conclusione che il viaggio è ancor più importante della meta, o, per dirla con De Andrè, “per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”.
Parlando di musica gli esempi sarebbero tantissimi, e io vorrei segnalarvi la colonna sonora di un gran bel film di una decina di anni fa, tratto dalla storia vera di Christopher McCandless. Dopo aver conseguito la laurea nel 1992, Chris decide di abbandonare ogni cosa per andare a vivere tra i ghiacci dell’Alaska. Dopo aver vissuto lì per quattro mesi, il suo corpo viene ritrovato senza vita in un autobus abbandonato in un accampamento isolato. Il film tocca in modo profondo e delicato delle tematiche universali e al contempo personalissime, e se vogliamo parla proprio di cammino, di diversi cammini. Si chiama “Into the wild” ed è diretto da Sean Penn. La colonna
sonora è stata interamente realizzata da Eddie Vedder, e rappresenta l’esordio da solista del leader dei Pearl Jam. Vedder, a mio avviso, ha una voce in grado di portarti un po’ dovunque, da una sala da ballo, a un deserto americano, in una festa con la musica a palla, in una stanza dalla luce soffusa con il tuo amore, o da solo.
A camminare. Io, se fossi in voi, lo ascolterei. Anche perché noi adesso ci ascoltiamo il primo brano internazionale, che viene da un album strepitoso, eccezionale, “Brothers in arms”. L’autore, Mark Knopfler, raccontò che l’espressione contenuta nel titolo (“cammino, percorso di vita”) tradizionalmente si riferisce dei viaggi che i cantastorie intraprendevano, spostandosi di città in città. Ladies & gentlemen, Con Walk of life, i Dire Straits.
Ma eccoci qui, con il fantastico clamorospite di oggi. Un amico, un giornalista, un insegnante, un autore, un musicista, un idraulico, un quel che volete. Signore e signori… Fabio Iuliano! Come cosa c’entra con il cammino? C’entra eccome. Tra le varie cose che ho detto di lui, ho dimenticato di dirvi che ha anche partecipato alla maratona di New York! Ed è qui con noi oggi perché l’ha fatta tutta, 42 km e oltre, allo strepitoso ritmo di… una camminata!
Anche la letteratura ha intinto a piene mani nell’inchiostro del tema del cammino. Nietzsche diceva che tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina, Bruce Chatwin scriveva di cammino, e in cammino, ma parlando di libri che trattano questo tema, il tema dell’andare, non possiamo non citare On the road. Di Jack Kerouac. Ormai “Sulla strada” non è più soltanto un libro: è una metafora, un sogno, un manifesto. Della beat generation, certo, ma non solo.
E invece è proprio un libro, scritto da Kerouac a 29 anni, nel 1922, in tre settimane, su un rotolo di carta lungo 36 metri, e che per anni viene rifiutato da ogni casa editrice perché in effetti dal punto di vista stilistico non è un granché. Ma sulla strada è di più, è altro, non è un libro che parla di viaggi, È quei viaggi. Dell’autore e del suo amico Neal Cassady. Di viaggi in America, in macchina, autostop, in autobus. E parla di società, di pionieri, di sogni, di sconfitte, di giovani, di eccessi, di promesse e delusioni, di droga e sottoproletariato, di orizzonti sporchi e del cammino che forse ognuno di noi, almeno per un po’, vorrebbe fare. On the road. Di Jack Kerouac. Leggetelo. Perché Non lo so dove andiamo. Ma dobbiamo andare Ed ora, prima di salutarvi, vorrei leggervi un estratto di un’opera giovanile (aveva 23 anni) d una delle massime espressioni della poesia del secolo scorso, scritta esattamente 100 anni fa. E che ancora non smetterei di leggere.
Ecco, è perduto nella rete di echi, nel soffio di pruina che discende sugli alberi sfoltiti e ne deriva un murmure d’irrequieta marina, tu quasi vorresti, e ne tremi, intento cuore disfarti, non pulsar più! Ma sempre che lo invochi, più netto batti come orologio in una stanza d’albergo al primo rompere dell’aurora. E senti allora, se pure ti ripetono che puoi fermarti a mezza via o in alto mare, che non c’è sosta per noi, ma strada, ancora strada, e che il cammino è sempre da ricominciare.
Corri Forrest, corri
L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A continuare a camminare.
La via in salita e la via in discesa sono un’unica via
https://www.youtube.com/watch?v=d-_SvUm1SJE