D’Orazio, vi racconto la mia vita in questi giorni d’emergenza
«Un corridoio e qualche porta. Questo ci divide fisicamente dai casi di Covid-19 nel nostro ospedale. Ma noi radiologi i loro polmoni, le loro tac all’arrivo e nella lunga permanenza ce li abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni».
Federico D’Orazio, radiologo aquilano in servizio all’Humanitas Research Hospital, nell’area metropolitana di Milano, si affida a Facebook per descrivere queste giornate difficilissime.
«Di alcuni ormai ricordiamo i nomi, e quotidianamente ne consultiamo le cartelle cliniche elettroniche, vediamo le novità e facciamo il tifo per loro», racconta. «Quella signora arrivata durante la mia guardia notturna di due settimane fa, lotta ancora nonostante l’età e l’esordio in salita. Sono trascorse solo due settimane e ancora non ci rassegniamo a questa nuova “normalità”, semplicemente ci siamo adattati per quanto possibile. Negli studi siamo massimo in 2-3, distanziati di un paio di metri, con mascherina tutto il tempo, disinfettiamo tastiere, mouse, mani, facciamo le riunioni multidisciplinari via Skype pur essendo tutti nello stesso grande ospedale».
Rapporti umani delicatissimi. «La processione dei parenti che portano il cambio biancheria al punto di ritiro è un qualcosa di straziante; immaginare di avere un proprio caro ricoverato e non potergli essere vicino per la sua e vostra salvaguardia, sembra quasi inconcepibile», spiega. «Insostenibile il pensiero di quanto durerà. Verrà poi il momento anche di rettificare le dichiarazioni di alcuni quotidiani nazionali che in questo momento hanno avuto la disonestà intellettuale di mettere nero su bianco che noi non abbiamo nessun posto letto per i casi di Covid-19. Verrà, spero, per rendere merito allo sforzo collegiale sin qui prodotto. Ma non mi meraviglia nulla, davvero».
Impossibile non ritornare con la mente agli 11 anni appena trascorsi.
«Sono Aquilano e ho “fatto” il terremoto. Questa è la sciagura complementare: di lunga durata, stillicidio quotidiano contro la strage improvvisa di una notte. Apparentemente tutto in piedi e fruibile, ma nessuno che ne possa fruire. Il vuoto e il silenzio di Milano si avvicinano molto al silenzio e al deserto che ho visto realizzarsi ogni pomeriggio all’Aquila quando i pendolari, finito l’orario di lavoro, tornavano sulla costa. Diversamente, in questo caso, spostarsi non basta a rientrare nella normalità, è coinvolta tutta la Nazione e stavolta sarà più semplice essere compresi da tutti, perché stavolta sì siamo tutti sulla stessa barca, e davvero questo aiuta».
«Di sicuro», conclude, «ne usciremo insieme e allora sarà tutto pronto per ricominciare come prima, senza dover passare per una ricostruzione che duri oltre un decennio; non è poco. Penso a questo e per questo vado avanti».