L’Aquila nelle new town 10 anni dopo / 8
9 Marzo 2020 Condividi

L’Aquila nelle new town 10 anni dopo / 8

“Musica e il resto scompare. Musica e il resto scompare”. Montati per richiamare l’attenzione, gli altoparlanti esterni del chioschetto mobile di latticini e altri generi alimentari, riproducono la canzone che Elettra Lamborghini ha portato a Sanremo. Bastano due o tre rime a rimpiangere il vecchio e caro “Donne, è arrivato l’arrotino”. Ma l’annuncio funziona, evidentemente, e il negozietto ambulante, fermo ogni martedì tra via Mauro De Mauro e via Carlo Casalegno si riempie di gente. E questa è già una notizia, se si considera il progressivo svuotamento delle aree del Progetto Case. Però Paganica 2 tiene botta, se non altro per il fatto di trovarsi al centro del nucleo sociale e produttivo della frazione più popolosa.

LE VOCI DEI RESIDENTI. «Le cose sono cambiate negli ultimi tempi», spiega Andrea Aleandri, 21enne che vive nella zona. «In ogni caso, la vita nei nuovi quartieri di Paganica resiste, molte famiglie abitano ancora qui». Prima del sisma, con la sua famiglia risiedeva nella zona della Stazione. Questo quartiere ospita ben 25 palazzine, per un totale di 590 appartamenti capaci potenzialmente di accogliere quasi 2mila persone. A queste, vanno aggiunte le quattro palazzine del piccolo complesso di Paganica 1 che ha ospitato gran parte delle persone che, anche prima del terremoto, vivevano nella frazione. Il complesso di Paganica Sud, inoltre, è stato realizzato a ridosso di Tempera. I vari complessi, così come quello di Bazzano, sono collegati da un insieme di sentieri pedonali e carrabili. Tra queste anche via Ponte delle Tre, strada stesso invasa da erba e rifiuti. Le segnalazioni di chi abita e lavora nella zona sono diverse, anche relativi a situazioni di traffico di droga, prostituzione e criminalità, specie in alcuni appartamenti ora non abitati. Però questo costituisce un’eccezione. La vita in complessi come il Progetto Case di Paganica 2 apre a scenari di vita quotidiana in cui trovano spazio famiglie, studenti, lavoratori e comitive di amici. Per strada si vedono gruppi di adolescenti di quelli che vedresti nelle fiction, tra zaini, cuffie bluetooth e felpa col cappuccio.

CORSI DI ITALIANO. Grande è la comunità di stranieri, qualcuno arrivato negli ultimi anni. Molti quelli insediati sin dagli anni Novanta, quando la questione migratoria riguardava, più che altro, i Balcani e i Paesi dell’Europa dell’Est. Proprio in virtù della presenza di tanti stranieri, anche impegnati nelle varie imprese edili della zona, è stato istituito da alcuni mesi il corso di italiano “L2” per stranieri, promosso nella direzione didattica “Galilei” di Paganica in collaborazione con il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti dell’Aquila (Cpia). Un buon esempio di progettualità volto a favorire un’integrazione vera e non di facciata, una buona pratica che avrà una ricaduta positiva anche sul percorso didattico dei figli, molti dei quali frequentano la scuola dell’Infanzia e Primaria della direzione didattica.

LE TRADIZIONI. Paganica è anche il borgo dei riti e delle tradizioni come la Corsa del Cappello, il palio paganichese che consiste in una sfida podistica prima tra i quattro rioni (Colle, Piazza, Pietralata e Sant’Antonio) e poi tra le frazioni e i paesi vicini. Un appuntamento estivo tra sport, cultura, arte, iniziative sociali ed enogastronomia. Abbiamo chiesto proprio al presidente della Fenice, l’associazione che organizza, Luca Centofanti, un parere sulle “new town”: «Le piastre e le palazzine sono state senza dubbio utilissime nei primi anni dell’emergenza post-sisma», valuta il giovane da sempre legato a Paganica. «Ma ora, a distanza di oltre dieci anni dal terremoto, hanno perso la funzione originaria e rischiano anche di essere un deterrente per il rilancio della nostra economia legata allo sviluppo edilizio. Io credo che debbano essere progressivamente abbattute, solo così si può puntare sull’economia del mattone a beneficio delle imprese locali».

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro

La vita nelle “new town”: una ricerca scientifica

Dopo aver elaborato un decalogo per riscrivere le dinamiche all’interno dei 19 quartieri antisismici, il professor Massimo Casacchia già ordinario di Psichiatria all’Ateneo dell’Aquila elabora un’analisi-ricostruzione della vita in città in questi ultimi 10 anni, anche alla luce dei nuovi insediamenti. «Come noto», ricorda Casacchia, «da dicembre 2009 la popolazione aquilana che era accolta nelle tendopoli sparse sul territorio. Decine di migliaia di persone riuscirono a trovare progressivamente un’ospitalità gradevole e inaspettata in piccoli appartamenti, dotati di ogni comfort che erano stati costruiti con una velocità inimmaginabile grazie all’impegno giorno e notte delle maestranze che compirono il miracolo di consegnare gli appartamenti in tempi brevi dando la priorità alle famiglie con figli».

Contemporaneamente si assistette alla costruzione di scuole antisismiche: in questo modo, pur con ovvi disagi e ritardi, fu possibile dare inizio all’anno scolastico 2009-2010 con un rilevante numero di studenti, felici di poter continuare il loro percorso scolastico e ritrovare i propri compagni, molti dei quali appunto erano riusciti a rimanere all’Aquila. «L’assegnazione delle abitazioni fu casuale», sottolinea il professore, «così le persone si trovarono ospitate in case molto confortevoli ma situate in località lontane da dove avevano sempre vissuto, in zone poco familiari o addirittura sconosciute. Pertanto molte persone vissero una percezione di spaesamento molto forte. Tale stato d’animo è stato studiato in molte ricerche scientifiche internazionali che avevano approfondito i vissuti delle persone terremotate, identificando con il termine di displacement una condizione frequentemente sperimentata dalle persone che rappresentava un fattore di rischio e di vulnerabilità nei riguardi di patologie mentali».

A questo proposito, Casacchia si trovò a coordinare un’équipe di psichiatria universitaria, composta dalla professoressa Rita Roncone, dal compianto Rocco Pollice e da Maurizio Malavolta. La squadra era chiamata a monitorare molte delle 19 new town lo stato di benessere delle persone attraverso colloqui diretti e specifici questionari. «I dati dell’indagine riportarono, come previsto, uno stato diffuso di ansia e di demoralizzazione», spiega Casacchia, «e una percezione di perdita della coesione sociale, dovuta alla difficoltà di ricreare relazioni in un ambiente sconosciuto». Uno dei dati più interessanti dell’indagine è la correlazione tra stato di disagio psicopatologico e assenza di servizi essenziali, come una farmacia, un negozio alimentare, un’edicola, una fermata bus, uno studio medico e via dicendo. Infatti le persone che vivevano nei quartieri più prossimi ai servizi importanti, come quelle di Sant’Antonio, presentavano un migliore stato di benessere. (fab.i.)

Fonte: il Centro