Claudia Conte, dal palco alla penna: amo gli opposti
La vedi in tv e a teatro, magari mentre incarna uno a uno i principali personaggi femminili dello spettacolo tratto da “Il mio nome è Nessuno, l’Ulisse” di Valerio Massimo Manfredi. Nelle vesti di Circe, nei sensi di Calipso o nella tela di Penelope non te la immagini seduta davanti a una tastiera con una serie di cartelle da riempire. Eppure, nonostante la sua giovane età – è nata 26 anni fa a Cassino – Claudia Conte ha già affiancato alla sua carriera di attrice una serie di pubblicazioni interessanti, da “Frammenti rubati al destino” a “Soffi vitali”.
Il salto di qualità, probabilmente, è arrivato con “Il vino e le rose. L’eterna sfida tra il bene e il male” (Curcio), il volume che verrà presentato all’Aquila sabato 19 maggio nella libreria Maccarrone. Un saggio travestito da romanzo che apre spaccati sul significato profondo delle nostre giornate.
Cos’è la vita? Quali origini ha? Vi è un senso o meglio, possiamo ricavarne uno? In essa prevale il bene o il male? E ancora: possiamo essere felici o la nostra essenza è ineluttabilmente segnata dall’inquietudine e dal vuoto esistenziale? «Ho messo tre donne, tre amiche sulla strada di questi quesiti», racconta la giovane scrittrice. «Le riflessioni su questi temi, e sul modo come li hanno affrontati scrittori e filosofi come Bauman, si intersecano con la storia dei miei tre personaggi, che dall’infanzia alla maturità si confrontano costantemente con se stesse e con l’alter alla ricerca del proprio equilibrio».
Claudia Conte all’Aquila dialogherà con Stefano Carnicelli, fresco di menzione d’onore al premio internazionale “Lucius Annaeus Seneca” a Bari per il suo componimento breve “La Nobile signora”. Uno scritto che racconta da un’angolazione inedita le vicende aquilane. Ci sarà anche la giornalista Barbara Bologna, per dare voce alla scrittura e il giovane musicista-poeta Andrea Petricca, per accompagnare le letture con il suo violino.
Perché il vino, perché le rose?
La mia ricerca si concentra su un insieme di sentimenti opposti tra loro che, senza soluzione di continuità, vanno dagli estremi della gioia e della disperazione, passando per i medi della serenità e della malinconia. Ogni elemento ha il suo lato positivo e negativo. Le rose hanno il profumo, i colori, ma anche le spine. Il vino sa assecondare i sensi e il palato, ma sa anche stordire. Dai dialoghi delle protagoniste emerge tutta l’essenza della loro esistenza, trascorsa nel costante tentativo di sconfiggere il degrado psicologico che vive l’essere umano nella nostra epoca.
Un racconto che sa anche trascendere. Come ha orientato la sua ricerca?
Ho fatto tesoro dell’esperienza mistica di alcune figure guida, come Sant’Agostino. Ho cercato di camminare sulla scìa delle domande che lui si è fatto nel cercare Dio. Un itinerario attraverso le luci e le ombre che ogni giorno scandiscono le nostre esistenze, come due lottatori avvinghiati. A volte, presi dai nostri problemi o toccati dalle nostre tragedie fatichiamo a vedere Dio.
Quel “Dio dove sei?”, quella domanda antica che Giobbe rivolse all’Eterno, per sentirsi rispondere “Dov’eri tu quando ponevo le fondamenta della Terra?” Uno scambio che Terrence Malick ha saputo tradurre nella splendida sequenza dì immagini che caratterizza il suo The tree of life. il suo libro cerca anche, in qualche modo, dì dare una risposta al dolore?
Il mio tentativo parte dai piccoli-grandi problemi di Irene, Luisa ed Eva, le mie protagoniste, fino a toccare le catastrofi naturali. Mia nonna Matilde è di Amatrice e la sua famiglia ha vissuto in pieno quella maledetta notte del 24 agosto di due anni fa. Una tragedia che mi ha fatto riflettere, così come il terremoto dell’Aquila. Ma è nella risposta in termini di appartenenza e solidarietà reciproca che si apre uno spiraglio attraverso il quale filtra la luce.