La speranza negli occhi dell’altro
Non è facile rendere la bellezza che abbiamo vissuto ieri sera, in un incontro che è stato segnato dalla presenza di una speranza concreta, tutt’altro che campata per aria, ma piuttosto incarnata in persone comuni toccate da una speranza che dà vita.
Una speranza fatta di incontri, di gesti improvvisi e di reazioni inaspettate, segni che alimentano un desiderio irrazionale ma concreto che porta a vivere la vita guardando oltre, poggiando su qualcosa di più grande.
Proprio questa speranza, che non confonde ma che anzi orienta, ci richiama a sé attraverso gli occhi di chi l’ha vista, anche solo per un attimo.
Ieri abbiamo fatto questo, niente più, raccontare ciò che abbiamo visto, cantando, parlando e condividendo. Perché abbiamo bisogno di speranza, ne abbiamo bisogno un po’ tutti, ovunque. E allora lasciamoci trascinare da questo desiderio: parliamo di speranza, raccontiamola e trasmettiamola, riempiendo così questa città e i suoi luoghi di una bellezza che vivifica pietre, palazzi e persone.
di Tommaso Cotelessa
L’incontro con la speranza è stato il fimo rosso che ha guidato la serata vissuta ieri – lunedì 28 luglio – nell’atrio del palazzo Benedetti, in via Sassa; l’evento, coordinato dal giornalista Tommaso Cotellessa, è stato ideato da un vasto gruppo di persone e di ragazzi, con la regia di don Federico Palmerini.
Il tema pensato era: “Non ci si può sottrarre al gioco della vita” e l’intento era quello di ritrovarsi intorno a brevi testimonianze sulle difficoltà e i bagliori di redenzione della vita quotidiana. In un dialogo che interfacciasse la “piazza” e la “chiesa”; e questo, poiché il luogo scelto era quello delle scalette dell’entrata della aquilana basilica di san Giuseppe Artigiano, ma la pioggia ha aperto “luoghi” diversi.
E così Fabio, accompagnato dal suono della propria chitarra, ha riportato la prima testimonianza, nella quale ha ricordato quanto rimanga centrale, in ogni relazione (anche in quelle ferite dal male) «guardarsi negli occhi e chiamarsi per nome». È seguita – immediatamente – quella di don Dante, il quale, a partire da personali esperienze di vita, ha annunciato: «La speranza è una postura della vita; è il posto che ti viene assegnato». Egli ha sottolineato come, anche nella croce e nel male commesso, possono venire generati alcuni eventi, che rappresentano importanti segni di speranza.
Pietro ha letto, a microfono, alcune pagine scritte da Viktor Frankl, tratte da “Uno psicologo nel lager”.
Riprendendo la parola, don Dante ha affermato: «Occorre imparare a non giudicare chi non ce la fa»; concludendo con: «Perdono, accoglienza, custodia».
Salvatore, visibilmente commosso, ha riportato la propria testimonianza.
Lucia ha, poi, presentato la realtà del baskin: basket e inclusione; sport presente a L’Aquila, coinvolgente tante realtà di disabilità e atletiche.
«La speranza si fa certezza, concretezza»: ha sottolineato Tommaso, riportando personali esperienze di croce e di risurrezione.
Roberto, “padrone di casa” con Monica, rileggendo la pagina buia dei campi di prigionia e di sterminio, porta con sé, e consegna agli altri, l’auspicio di «portare speranza».
A fare sintesi degli interventi è stato don Federico, il quale – anche per i recenti e drammatici episodi di cronaca locale e mondiale – ha affermato: «La speranza è credere che tutto ha un senso. Una speranza è vera soltanto se regge l’impatto con la morte».
Tommaso ha concluso la serata, che ha visto una vasta partecipazione di ragazzi e adulti, ricordando a tutti l’evento “I frutti sono maturi”, che ci vedrà coinvolti il 27 agosto alle ore 18,30, presso l’aquilano convento di santa Chiara a Borgo Rivera; serata ideata a partire dal tema: “Da radici di speranza alla cura della terra per la rigenerazione del territorio”.
