Calabresi a Pescara: le foto che parlano
“Mi ha sempre affascinato conoscere le storie dietro alle fotografie che più ho amato, quelle foto di cui ti chiedi che cosa sia successo un attimo prima. Che cosa sia successo un attimo dopo”. Racconti, aneddoti, curiosità su alcune tra le fotografie capaci di segnare un’epoca, di sintetizzare le parole. Immagini destinate a popolare la memoria collettiva che Mario Calabresi ha selezionato per riempire le pagine del suo nuovo libro, A occhi aperti (Mondadori) che questo pomeriggio (ore 16) verrà presentato al Teatro Massimo in occasione del Festival di Libri e Altrecose. Giornalista e appassionato di fotografia, Calabresi ha viaggiato a lungo per incontrare gli autori di scatti molto popolari e farsi raccontare quali emozioni li avessero attraversati mentre fermavano sulla pellicola un pezzo di storia. Un viaggio a ritroso tra gli scatti di Josef Koudelka, che ha documentato la Primavera di Praga del 1968, Don McCullin, testimone dei conflitti in Vietnam e nell’Irlanda del Nord, Steve McCurry, che ha affrontato i monsoni e attraversato l’Afghanistan in macerie, o Gabriele Basilico, che ha immortalato una Beirut distrutta da anni di guerra civile. I fotografi incontrati e intervistati da Calabresi hanno accettato di raccontare i momenti che li hanno definiti: gli schiavi delle miniere a cielo aperto ritratti da Sebastião Salgado, le discriminazioni razziali americane testimoniate da Elliott Erwitt o i rifugiati palestinesi, ai quali rivolge lo sguardo Paolo Pellegrin. E le denunce in bianco e nero di Letizia Battaglia, che ha messo sotto gli occhi dell’Italia la realtà della mafia siciliana. A occhi aperti è un viaggio nel tempo, non solo nella fotografia, ma negli eventi che hanno fatto la storia, ancora oggi vividi e toccanti grazie a uomini e donne che hanno saputo cogliere l’attimo perfetto. Qualche ora prima, alle 12, Calabresi è atteso all’Auditorium Petruzzi per intervistare Lorenzo Tugnoli, fotografo italiano dell’agenzia Contrasto e vincitore del Premio Pulitzer 2019.
Calabresi, ha scelto il Fla per l’anteprima del suo nuovo libro. Da parte sua un omaggio al racconto fotografico, specie in ambito giornalistico. Come ha sviluppato la sua idea?
Mi ha sempre attratto la capacità di una buona immagine di trasmettere un’emozione. Ci sono foto che riescono a dire più di mille parole e lo dice uno che ama le parole, ama la scrittura. Io alla fine volevo capire cosa riesce a rendere universale una fotografia. Così ho pensato di viaggiare per raggiungere alcuni grandi fotografi e convincerli a raccontarmi l’attimo in cui una singola immagine diventa una fotografia che ha fatto la storia.
Lei è stato nominato direttore del quotidiano La Stampa pochi giorni dopo il terremoto dell’Aquila, una tragedia, quest’ultima, che è stata raccontata anche attraverso una grande quantità di immagini, alcune delle quali divenute iconiche. che importanza ha dato alle scelte fotografiche nell’impostazione del giornale?
Ho sempre riservato una grande attenzione a questo aspetto, proprio in virtù di quello che abbiamo detto prima. Nel mio libro sono andato a cercare dei maestri capaci di intuire il momento giusto di un determinato scatto. Parliamo di professionisti come Salgado, McCurry. Mi sono fatto una domanda? Trovarsi al posto giusto e al momento giusto è questione di fortuna o di esperienza? La risposta che mi sono dato è quasi sempre la seconda. I fotografi che hanno retto nel tempo sono quelli che non hanno improvvisato. Il mio, peraltro, è un libro sull’importanza di recarsi sul posto e toccare con mano la realtà che si vuole raccontare.
Oggi intervisterà anche Tugnoli. Lo conosce?
Non di persona, ci siamo visti solo attraverso uno schermo. I suoi scatti non fanno parte del mio libro, ma credo che sia un professionista molto valido. Collabora regolarmente con il Washington Post e diverse riviste internazionali. Lavora da anni in Medio Oriente e in Asia centrale specie in Afghanistan e Libano. Ha saputo raccontare i Talebani ritraendoli nel quotidiano, senza filtri né preconcetti. Per questo ha vinto il Pulitzer.
Un approccio quasi da antropologo sul campo
Esattamente.
A fine libro c’è una foto di Salgado che ritrae una fila di pinguini che attendono di tuffarsi a mare. come mai questa scelta?
Dopo tante immagini di guerra o scatti a realtà drammatiche, ho cercato un omaggio alla vita.
Di recente ha dedicato all’Abruzzo e in particolare a Calascio e alle sfide del restare un approfondimento all’interno del suo podcast di Chora media altre/storie. Da cosa è partito?
La scorsa estate pensavo con mia moglie di andare in vacanza in Portogallo, poi però ci siamo convinti a fare un viaggio alternativo in Basilicata, Molise e Abruzzo, terre che conosco relativamente di meno, anche se dell’Aquila ho un ricordo prima e dopo il terremoto e a Pescara sono stato tante volte anche in virtù del del legame con la famiglia Alessandrini. Nelle aree interne dell’Abruzzo ho visto paesaggi stupendi.