Cogli l’attimo… pare facile ma non lo è. Sentite questa storia raccolta in uno dei peggiori bar, taccuino penna ed entrambi i gomiti appoggiati su un bancone piuttosto affollato sistemato a ridosso di una pedana dove un gruppo rock si esibisce.
“Che dobbiamo suonare adesso?”.
Nel silenzio semi-surreale che, a volte, si crea tra un pezzo e l’altro, la domanda del batterista – solitamente rivolta al resto dei componenti del gruppo – viene percepita anche da chi occupa l’ultima sedia dell’ultimo tavolo dal lato opposto del locale. Così come, altrettanto nitidamente, si distingue la risposta del cantante che, non senza stizza, gli ricorda di aver sistemato anche accanto alla sua postazione la “scaletta”, ossia un elenco delle canzoni della serata, da scorrere dall’alto verso il basso, perché è così che di solito si leggono gli elenchi. Dunque, puntando lo sguardo sul titolo che segue quello appena suonato – è facile se ci provi, parafrasando John Lennon – si legge chiaramente, se non altro perché è scritto in stampatello, con font a prova di orbo, che bisogna suonare Losing My Religion.
“Ah, ok Losing My Religion, quella dei Rem. E come faceva l’inizio?”.
La nuova domanda del batterista è sempre rivolta al resto del gruppo, ma il tono e l’intensità della voce sembrano (anzi vogliono) coinvolgere tutto il locale, come se si accettassero consigli dal pubblico, in un brainstorming collettivo prima dell’attacco. Con pazienza, e un po’ di imbarazzo, uno dei due chitarristi si gira verso il compagno e gli fa: “Due colpi di bacchetta, tic tic e poi tra-tru tra-tru e si parte, l’abbiamo fatta anche prima, al sound-check, ricordi?”
Cogli l’attimo appunto…
Ora, Losing My Religion ossia una delle canzoni più rappresentative del rock anni Novanta, non è legata a tematiche religiose e spirituali. Non c’è da farsi ingannare dal titolo che fa più che altro riferimento a un’espressione usata nella zona meridionale degli Stati Uniti e significa “perdere la ragione”, oppure “perdere la pazienza”. E perdere la pazienza in circostanze del genere non è così improbabile, specie se hai gente davanti che sono già cinque minuti che aspetta che il gruppo ricominci a suonare. In questo lasso di tempo, il batterista è riuscito a risistemare il pedale sganciato, il “top” del charleston che chiude male e, in contemporanea, a convincere il cantante a chiedere ad l’attenzione del bancone del bar per ordinare da bere, inventando magari qualcosa di carino da dire agli avventori. D’altra parte, se uno ha il dono di essere inopportuno questo dono lo esercita con costanza.
Il metronomo di Losing My Religion è fisso a 123 battiti per minuto, ma in circostanze del genere il numero dei bpm è direttamente proporzionale a quello dei bicchieri vuoti parcheggiati dietro allo sgabello del batterista. Così, talvolta da allegro si passa ad allegrissimo. E tu sai che tra quel tic tic e quel tra-tru tra-tru c’è da far partire il riff di chitarra.
Cogli l’attimo, insomma… ‘na parola.
Cogli l’attimo è anche il nome del locale che segna un avamposto del capoluogo sulle strade della periferia ovest.
Cogli l’attimo, nella religione del presente che trova forza nelle parole di Orazio ed Epicuro. Ma anche nel mantra del maestro tartaruga di Kung Fu Panda che ritrovi appeso sulla parete di fronte al bancone. “Ieri è storia, domani è mistero ma oggi è un dono. Ecco perché si chiama presente”. Insomma, il presente è oggi, ed è di oggi che ci possiamo prendere cura, se aspiriamo a un domani migliore. Nel presente possiamo gettare i semi, domani possiamo raccogliere i frutti, ma tutto, parte dall’oggi, anche dal cogliere quell’attimo.
Da un altro lato del locale, non distante dalla pedana dove suona il gruppo musicale, alcuni versi traducono la stessa filosofia declinata sulla scelta di dar via a questa nuova gestione: “Perché tutto gira intorno a un attimo”, si legge, “lo faccio adesso o lo farò… bere un buon bicchiere di vino o quello della casa, perché no. È un attimo fermarsi per un cornetto e caffe o un panino al volo. Pranzo o cena? Tutto va bene perché l’importante è cogliere l’attimo! È un po’ come tre amici, in una sera d’autunno, davanti a un bicchiere di vino decidono in un attimo di dare vita a un sogno, un ristobar per tutti. Per tutti quelli che vogliono vivere un’esperienza cogliere l’attimo”.
I tre amici in questione sono Claudio Fioretti, Francesco Ascaride e Valerio Biasini. Il sorriso di quest’ultimo ti accoglie sin dal parcheggio su via Saragat, strada densa di centri commerciali, qualche negozio, una radio, un istituto bancario, attività artigiane e diversi uffici. “Grazie L‘Aquila”, dicono i tre all’unisono nel porgere un prosecco di benvenuto. “All’inizio era un sogno, poi è diventato un obiettivo, ma soltanto grazie a voi è realtà!”.
Orario no stop dalle 5 fino alle 23, dalla mattina fino al pomeriggio per accogliere chi lavora o chi fa compere da queste parti, così come le tante persone alla ricerca di un posto tranquillo per fare colazione, pranzare o cenare in un luogo familiare, piuttosto accogliente. La sera c’è musica dal vivo o karaoke, con l’umanità più autentica a fare capolino con la zona di comfort.
Le canzoni si alternano a un piatto di manicaretti, a una pizza napoletana o piatti da braceria. Durante la colazione si può incontrare, ad esempio, il meteorologo aquilano Stefano Bernardi. Chissà quante persone gli vanno a chiedere delucidazioni su questo maggio folle! “Quello ci coglie sempre”, si sente sussurrare da qualche cliente.
All’ora di pranzo e cena spesso puoi avere per vicini di tavolo il vigile del fuoco Mauro Pace, Gaetano Faccenda dell’agenzia pratiche auto “Italia” e Costantino Amicozzi collaboratore della sezione aquilana dell’Aia (Associazione italiana arbitri di calcio), Francesco Fernicola. Questi ultimi sono anche runner. Tra una portata e l’altra i discorsi vanno sull’allenamento e le imminenti gare agonistiche della categoria “Master”. Roba difficile da conciliare con la cucina di Cogli l’attimo. Ma qualche volta un peccato di gola si può fare.
Così come ai musicisti, talvolta, è concesso di andare fuori tempo.
di Stefano Castellani e Fabio Iuliano – fonte: Virtu Quotidiane
DOVEROSA POSTILLA
Nei peggiori bar è una serie semiseria che, sin dal titolo, con sincera ironia racconta luoghi apprezzabili per la loro naturalezza, non è e non vuole in alcun modo essere oltraggiosa o offensiva ma, anzi, mira ad esaltare l’autenticità intrinseca di locali che sono spesso fuori dai circuiti più in, ma allo stesso modo capaci di essere punto di riferimento per le comunità.
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