L’arte ci scopre fragili nel ricordo ma ci aiuta a difenderci
Un cognome, un nome, un rintocco di campana: ben 188 alla fine risuonati in 14 infiniti minuti nel silenzio del campo sportivo di Saletti, in un giorno in cui Nembro aveva ritrovato un primo sole d’estate. Il 23 giugno 2020, una comunità tra le più colpite dal virus in Val Seriana, nel Bergamasco, era riuscita a ricordare per la prima volta le proprie vittime. Per lungo tempo anche questo era stato loro negato.
“Abbiamo vissuto tutto quello che stava accadendo da soli, nelle nostre case, con il senso di colpa, la rabbia, il dolore. Ora siamo qui fisicamente vicini. Ce n’era bisogno”, le parole del primo cittadino al megafono del campo, “c’è il desiderio di ricordare chi abbiamo perso, il loro valore, consapevoli del patrimonio che ci è stato lasciato. Nel momento difficile la comunità ha saputo reagire, rimanere unita. Non dobbiamo disperdere questa ricchezza”.
Ricordare, guardarsi le ferite, guardare oltre, perché c’è da ritornare alla vita. E c’è da farlo anche per chi non c’è più. Questa immagine dà il senso della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di Coronavirus definita per oggi dalla un ddl approvato all’unanimità. dalla commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato.
Per ricordare le vittime italiane del Covid (qui trovate il bollettino con tutti i numeri aggiornati del 17 marzo) sono previste due cerimonie a Bergamo “epicentro” dei primi mesi, al Cimitero monumentale della città al Parco Martin Lutero alla Trucca. Si procede anche all’inaugurazione del Bosco della Memoria. Tra i presenti anche il premier, Mario Draghi, il cui ufficio ha richiesto l’esposizione a mezz’asta delle bandiere nazionale ed europea sugli edifici pubblici.
La data del 18 marzo è legata a un’immagine destinata da rimanere tra le più tristemente evocative di questa pandemia: proprio in questo giorno, nello scorso anno, i camion a Bergamo dell’esercito uscivano dalla città, trasportando centinaia di bare dei defunti in attesa di sepoltura.
Il nostro giornale non ha trascurato nessuna delle immagini più forti, così come alcuni dei nomi e delle storie tra le oltre 103mila vittime hanno fatto breccia tra i nostri articoli, specie quando il covid ha toccato persone vicine al mondo della cultura, dello spettacolo o dell’intrattenimento.
Abbiamo restituito qualcuna di queste storie in “Black out – dietro le quinte del lockdown”. Le ferite sono molte e fanno anche male. Ma la scelta di considerare l’arte come minimo comune denominatore del nostro racconto portato avanti da questa testata ci spinge a cercare una via diversa. Raccontare questo tempo attraverso l’arte che ci aiuta ad accettare di essere fragili e ci dà la forza di guardare oltre.