Diario dell’emergenza, il pronto soccorso negli occhi di un’infermiera
24 Aprile 2020 Condividi

Diario dell’emergenza, il pronto soccorso negli occhi di un’infermiera

“Non vogliamo essere chiamati eroi, ma sicuramente andiamo al lavoro con tanto coraggio e di tanta forza d’animo”.

L’emergenza Covid-19 si è abbattuta come uno tsunami sugli operatori sanitari della Penisola. Molte strutture ospedaliere si sono convertite, del tutto o in parte, per ospitare pazienti affetti da Covid-19, mettendo così a disposizione posti letto in più e garantendo un supporto agli ospedali maggiormente sotto pressione. Non fanno eccezione gli ospedali specialistici, come l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna che ha dovuto stravolgere l’organizzazione riorganizzando i reparti, a partire dal pronto soccorso.

“Tanto è cambiato della nostra vita lavorativa e non”, spiega Daniela Capezzali, 44 anni, di cui 17 al servizio della struttura. Originaria dell’Aquila, da due mesi si sottopone a turni estenuanti e protocolli stringenti. Una dura prova sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista umano, facendoli oscillare tra preoccupazione di restare coinvolti e senso del dovere.

Non solo, al di fuori della retorica di questo tempo sospeso, l’impegno di medici e infermieri non li risparmia da diffidenza e critiche. “Nella cassetta della posta ho trovato un biglietto con scritto: ‘Grazie per il Covid che ci porti tutti i giorni’. Quando l’ho letto è stato come una pugnalata alla schiena, mi sono sentita intimidita, trattata come gli untori. Da quando ero depressa non mi sono neppure arrabbiata”, ha rivelato al Corriere della Sera, Damiana Barsotti, infermiera nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Lucca.

Impressioni analoghe professionisti come Daniela Capezzali le hanno quando si muovono nei dintorni dell’ospedale. “Abbiamo un percorso privilegiato per raggiungere il supermercato”, spiega, “in modo da fare la spesa e rientrare subito in servizio. Ma molti clienti storcono il naso, lo si percepisce facilmente”.

L’istituto Rizzoli in poco tempo si è attrezzato per accogliere i pazienti ortopedici dei pronto soccorso di tutta l’area metropolitana, per alleggerire il carico sugli altri ospedali. Inoltre è stato uno dei primi in Italia a effettuare operazioni ortopediche urgenti su pazienti positivi al covid-19. “Per questo, abbiamo dovuto allestire un reparto Covid anche all’interno del nostro presidio”, spiega l’infermiera gessista. A volte, alcuni pazienti arrivano dal policlinico Sant’Orsola-Malpighi.

Anche il personale del pronto soccorso, come viene spiegato nel video “Il male invisibile” si è dovuto adattare all’emergenza, stravolgendo l’organizzazione. Perché positivo o no, ogni paziente ha diritto a essere trattato, soprattutto quando presenta un quadro clinico che richiede interventi che non possono essere rimandati.

“A tutti i pazienti che arrivano alla nostra struttura”, spiega Daniela Capezzali, “viene fatto uno screening. Chi viene trovato con dei decimi di febbre o con dei sintomi riconducibili al Coronavirus viene accompagnato nel percorso di ingresso con un protocollo identico a quelli che, dopo il tampone, risultano positivi. Per tutti gli altri c’è una procedura di triage più simile a quella ordinaria”. Nessun aspetto di prevenzione viene trascurato. “Abbiamo del vestiario e dei protocolli simili a quelli adottati durante l’emergenza dovuta al virus Ebola”, viene sottolineato. “Protocolli per cui siamo stati formati in passato”. Tra le misure di prevenzione c’è anche il tampone per tutti gli operatori sanitari. Alcuni di questi sono a casa in quarantena dopo aver contratto il virus in corsia. Inoltre, da qualche tempo, il personale si sottopone anche a prelievi del sangue.

Il numero di persone che si rivolgono al pronto soccorso è comunque sceso drasticamente. “Prima dell’emergenza, nell’arco di 24 ore venivano assistite oltre 100 persone”, prosegue la testimonianza, “ora gli interventi non arrivano a qualche decina”.

“Ai nostri infermieri, fisioterapisti e medici, la mia sentita gratitudine per lavorare senza paura e senza sosta a diretto contatto con pazienti potenzialmente affetti da Covid-19”, ha detto Cesare Faldini, direttore della Clinica ortopedica 1, “Professionalità, disponibilità, ma soprattutto sguardi e sorrisi rassicuranti non conoscono la barriera della mascherina e dei guanti di lattice”.

di Fabio Iuliano  – fonte: AgoraVox.it