Vecchioni: canto Leopardi e i tanti  che sanno amare
18 Febbraio 2019 Condividi

Vecchioni: canto Leopardi e i tanti  che sanno amare

La scommessa era bella impegnativa: scegliere uno come Giacomo Leopardi come testimonial della gioia di essere al mondo, quella luce dell’esistenza che ha cercato nelle storie di “La vita che si ama” (Einaudi), l’ultimo volume che, circa due anni fa, aveva presentato all’Aquila. Stavolta, il professor Roberto Vecchioni ha messo il professore di Recanati al centro del suo lavoro discografico, “L’Infinito”, dodici canzoni che si propongono come una unica.
Un “concept album” che rappresenta un continuum con il libro, declinato attraverso storie d’amore piccole o grandi. «Il tema è sempre quello, cioè che la vita va avanti in ogni cosa e che non si valuta per sogni o gioie o momenti belli e brutti», dice il cantautore al pubblico dell’auditorium Sericchi dell’Aquila in un colloquio con l’autore Stefano Carnicelli all’interno di un incontro promosso da Roberto Maccarrone della libreria InMondadori. 

Si presenta all’appuntamento con un cappello invernale e con abiti talmente casual che qualcuno della security fa per chiedergli un voucher d’ingresso. Al tavolo si fa accompagnare anche dal piccolo Michele, il figlio del libraio, che invece per l’occasione sfoggia un elegante cravattino. «Quanto è bello vedere questa città rinascere anno dopo anno», dice al pubblico, strappando il primo applauso. «Proprio di questa rinascita parlano le mie canzoni, di una vita che va vista come un dono».

Un messaggio di speranza, che però lei affida a un testimonial famoso per il pessimismo. non lo vede rischioso?
Non che cambi le sue idee, no, pessimista era e pessimista resta. Chiedere a Leopardi di non essere pessimista sarebbe come chiedere a Salvini di aprire i porti. Eppure, mi è sempre piaciuto credere che Leopardi non odiasse la vita, ma piuttosto che fosse vero l’inverso e che la sua disperazione, la sua rabbia, il suo sarcasmo fossero reazioni di un amante tradito. E quando è a Napoli, nei suoi ultimi anni, è un altro. Vive un’altra dimensione: è come se all’improvviso fosse stanco del dolore, come se chiedesse una tregua al mondo, tanto che nel suo canto finale “Il tramonto della Luna” fa addirittura splendere il sole in cielo. L’Infinito nasce così.

Come ha messo insieme le storie di questo album?
L’album si presenta come una carrellata di persone che la vita l’hanno amata sino al sacrificio per gli altri, per se stessi, o per dimostrare che bisogna andare avanti: penso a Giulio Regeni, ad Ayse Deniz, una ragazza curda che ha dato la vita per la battaglia contro l’Isis, oppure ad Alex Zanardi.

Proprio nel grido di Zanardi ci sono quelle ali che permettono di planare verso il traguardo, quando non si può correre né camminare. Perché ha scelto di duettare con Francesco Guccini proprio in un questa canzone, “Ti insegnerò a volare”, che dà il titolo all’unico singolo dell’album?
In realtà è stato Francesco a scegliere il pezzo in cui cantare. Io mi sono presentato da lui con le canzoni quasi al completo e l’ho stuzzicato per invitarlo a scendere con me a valle e registrare. In realtà, non ho dovuto insistere più di tanto, sia perché sapevo quali corde toccare, sia perché lui, sotto sotto, moriva dalla voglia di essere invitato. Abbiamo poi lavorato ai cori e a quel “ia – ia – ia – ia” che racconta tutta l’energia di Zanardi. La storia di un amore invincibile per ciò che si vive.

Altro tema importante del disco è il perdono: un brano è dedicato implicitamente a Papa Francesco. Qual è la sua idea di perdono, anche alla luce del fatto che ci troviamo a poche centinaia di metri dalla tomba di Celestino V?
Il Papa del gran rifiuto?

In realtà, il riferimento di Dante nella Commedia è stato messo in discussione. Forse è più giusto ricordare Celestino come Papa del perdono? 
Si lo so che quel riferimento è opinabile. In ogni caso, perdonare è l’atto più alto e dignitoso verso un altro essere umano, vuol dire aver capito fino in fondo la vita. Perdonare è un’espressione che può essere anche laica, non soltanto cristiana: l’espressione di aver capito cosa vuol dire esistere. Si può sbagliare, tutti possono sbagliare, per mille motivi. Del resto, non ricordo quale scrittore aveva definito il male come l’elemento che realizza la perla dell’ostrica. Tutto ha origine da quel granellino di sabbia che vi penetra dentro, il granellino è una malattia che vi fa sviluppare gli anticorpi. Da qui si arriva alla perla, il prodotto di un’autodifesa. A volte, quello che ci arriva dall’esterno fa talmente male che l’unico modo di sopravvivere, per non impazzire, è commettere qualche sbaglio. Per questo, bisogna perdonare sempre l’altro, perché non si sa mai quale battaglia sta combattendo.

Qual è l’approccio musicale di questo album, che vede impegnato anche Morgan? 
Gli arrangiamenti sono stati sviluppati su canzoni che avevo già cantato al metronomo e questo è un modo di lavorare piuttosto nuovo.

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro

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