Dai Soprano a Gomorra: il successo diventa seriale
Le serie tv nel panorama culturale odierno occupano uno spazio fino a poco tempo fa impensabile. Ma come è nato questo fenomeno? L’aquilano Gianluigi Rossini ha provato a dare delle risposte. È nato cosi “Le serie tv” (Mulino), un volume che ha già ottenuto un buon numero di recensioni anche a livello nazionale.
Come nasce questo lavoro e come si inserisce all’interno del suo percorso di ricerca?
Ho iniziato a studiare la serialità tv alla facoltà di comunicazione della Sapienza, poi ho proseguito con un dottorato di ricerca qui a L’Aquila, dove grazie all’appoggio del professor Massimo Fusillo ho potuto adottare l’approccio interdisciplinare che è mi è più congeniale. Il libro è un po’ il coronamento di tutto questo percorso di studi e di ricerca, e credo vada a coprire una lacuna nella letteratura italiana sul tema. L’idea era ripartire dall’inizio e mostrare come tv e serialità siano cresciuti e cambiati insieme, fino ad arrivare al momento d’oro che stiamo vivendo.
Perché le serie tv hanno così tanto successo? Hanno forse sostituito un canale di comunicazione che prima apparteneva al cinema?
Lo serie tv hanno sempre avuto successo, da che esistono. Adesso però hanno raggiunto anche un certo prestigio culturale e sono nate forme di telefilia prima impensabili. Il cambiamento dipende innanzitutto dalla crisi della tv generalista e dall’apertura di nuovi spazi, come i canali a pagamento, che hanno finalmente permesso alla forma di sfruttare al meglio il suo potenziale. Non credo ci sia nessuna sostituzione, però, anche perché l’industria che produce le serie tv è la stessa che produce il cinema, e anzi in molti casi c’è un avvicinamento tra le due forme.
Nel suo libro lei parla di una doppia “rivoluzione” che ha accompagnato la crescita delle serie tv, facendo riferimento a “The Sopranos”, la serie sulla mafia italoamericana (Hbo), come spartiacque tra la vecchia serialità e la nuova.
La doppia rivoluzione è avvenuta in due momenti: nei primi anni ’80 con Hill Street Blues (Hill Street giorno e notte), e alla fine dei ’90 con The Sopranos. Nessuna delle due ha avuto molta fortuna in Italia, eppure si tratta di due titoli fondamentali: Hill Street ha praticamente inventato la struttura della serie contemporanea, The Sopranos ha portato il linguaggio a un livello prima impensabile sfruttando le possibilità offerte da Hbo. Ci sono molte altre serie importanti e influenti, ovviamente, ma queste due hanno saputo creare il terreno per le produzioni successive.
Lo sviluppo delle tecnologie digitali e dei social hanno cambiato la fruibilità del mezzo televisivo. La nascita di piattaforme come Netflix è funzionale al mercato delle serie televisive?
Più che altro, il trasferimento sul web era inevitabile. Netflix, Amazon, Hulu e gli altri canali “Over the top” (Ott) sono il passo successivo dell’evoluzione della tv. Netflix, in particolare, sta investendo cifre gigantesche nella produzione di titoli originali con un approccio “glocal” che potrebbe squilibrare notevolmente anche il mercato italiano. L’arrivo degli Ott è un cambiamento di sistema forse ancora più drastico di quello avvenuto con i canali a pagamento tra gli anni ’80 e ’90, anche se non mi pare abbia generato un’evoluzione formale altrettanto forte. Forse non era semplicemente più possibile, o forse siamo solo all’inizio di qualcosa di nuovo che non è ancora facile da identificare.
Si parla delle serie tv come uno strumento più completo e complesso nelle mani di registi e sceneggiatori, specie negli Usa. Tuttavia, non c’è il rischio che esigenze di carattere commerciale poossano attivare meccanismi come la “decompressione narrativa” a discapito della qualità?
È interessante il riferimento alla “decompressione narrativa”, perché in realtà l’eccessiva compressione del racconto è stata spesso considerata un male per la serialità contemporanea: la necessità di sfruttare al meglio il minutaggio a disposizione e il gran numero di storie e personaggi fa sì che ogni scena debba avere un picco drammatico, trasformando tutto in melodramma. Serie come Scandal portano all’estremo questo stile, in maniera consapevole, ma uno dei tratti distintivi delle serie di prestigio è spesso proprio una narrazione più lenta. Il rischio maggiore che io vedo per la qualità delle serie è un altro, ed è rappresentato da kolossal tv come The Walking Dead o Westworld: prodotti tanto lussuosi e provocatori quanto meccanici e vuoti.
In Italia c’è chi critica serie tv come Gomorra o Romanzo Criminale per la mitizzazione dei protagonisti comunque appartenenti alla criminalità organizzata. Inoltre, pezzi di copione sono entrati a far parte del linguaggio quotidiano. Quanto è forte l’influenza delle serie sulla società?
Quella contro Gomorra è una polemica vecchia come il mondo, anche The Sopranos e The Wire hanno avuto critiche simili. Le serie hanno un’influenza sulla società e contribuiscono a nutrire l’immaginario. Tuttavia, andrebbero criticati i prodotti che rafforzano gli stereotipi, non quelli che li mettono in discussione. Gomorra, soprattutto nella prima stagione, si è mossa al di fuori dei cliché del racconto sulla criminalità organizzata tipici della Tv italiana, e sinceramente non credo si potesse chiedere di meglio a una serie.
Quali sono, a suo avviso, le migliori serie tv al momento?
Tra le cose che ho apprezzato di più ultimamente mi vengono in mente Atlanta, Patriot, The Girlfriend Experience, e l’inglese Fleabag. Ma ora è iniziata la terza stagione di Better Call Saul e non ce n’è per nessuno.