Dal Fucino al Marocco, in viaggio coi braccianti che tornano a casa
«La nostra terra è la nostra madre e l’Italia la nostra moglie. Una moglie la scegli, ma la mamma è sempre la mamma: nessuno ti vuole bene come la mamma». Hassan El Aatmani si prepara a tornare a casa. Chiuderà per qualche tempo il “bar Marrakech”, sistemato in un vicolo secondario di Luco dei Marsi per far ritorno alla sua Marrakech, quella vera. Quella città dalle mille e una notte la cui Medina è un labirinto di colori, sapori e odori che ti restano dentro. Hassan, 33 anni, viaggia per qualcosa come 3.000 chilometri, attraverso la Francia e la Spagna, in compagnia di venditori e braccianti stagionali i cui contratti scadono proprio in questi giorni. Chi va in Marocco in autobus lo fa per trasportare merci, beni di prima necessità, ma anche oggetti decorativi da rivendere o condividere. Oppure se ha qualcosa da nascondere.
Sul bus viaggiano bagagli, persone e storie che sanno di terra. Chi vi sale si lascia alle spalle giornate da 12 ore di lavoro sui campi del Fucino, al caldo, al freddo e nel fango. «Usciamo la mattina all’alba e rientriamo dopo che il sole è calato. Quando ci vedi tutti con impermeabili verdi è impossibile distinguerci: Mohammed è uguale a Ibrahim e via dicendo», spiegano tra i tavoli del bar. Non è facile raccogliere testimonianze. Da queste parti se parli ti buttano fuori. Qualche anno fa mi è capitato di fare un’inchiesta per raccontare le condizioni di lavoro tra le squadre di braccianti che raccolgono i finocchi. Risultato? All’indomani della pubblicazione tutte le persone che erano in squadra con me sono state identificate dai datori di lavoro e poi licenziate. È stato anche questo a spingermi a salire su un bus per immigrati, direzione Marrakech. (fonte il Centro)