Mussida: il prog è un antidoto alle mode del momento
Quasi cinque minuti su un fraseggio pensato per chitarra baritona, in un’emozionale racconto strumentale di un viaggio emotivo che sa di innovazione, dal titolo ‘Nuovi orizzonti del cuore’.
Franco Mussida si congeda così dall’Auditorium del Conservatorio ‘Alfredo Casella’ dell’Aquila, dove è stato invitato per parlare agli allievi di “Progressive”. Uno come lui è abituato a parlare ai giovani di musica. Alle spalle ha quarant’anni alla guida del Cpm Music Institute di Milano, istituto di alta formazione riconosciuto da Miur che è considerato un punto di riferimento nella formazione musicale in Italia. “Una strada compiuta con grande fatica, dedizione, coraggio – ricorda – quando nel 1984 pensai che fosse arrivato il momento di creare una struttura come il Cpm, riuscii a coinvolgere una banda di pionieri che all’epoca erano musicisti straordinari, di tutti i tipi, ma non avevano nel loro destino la musica classica, bensì quella popolare. Il significato di essere qui oggi, in Conservatorio, è una sorta di ‘pacificazione’ tra quelli che un tempo erano considerati ambienti, generi diversi. Quando invece l’idea di musica, quella che pervade i cuori delle persone, resta unica”.
Con L’Aquila, Mussida ha un rapporto particolare. “L’ultima volta che sono venuto all’Aquila – ricorda – successe nel 2010 quando scrissi le musiche per Scene da un matrimonio di Bergman, nell’adattamento di Alessandro D’Alatri: fu la prima commedia che il Teatro Stabile d’Abruzzo mise in scena nel post-terremoto. Mi porto dietro ancora quei momenti quei momenti vissuti insieme in un periodo particolarmente doloroso per la città e nello stesso tempo un momento di rinascita e quindi e quindi un po’ come l’Araba fenice siamo qua a provare anche oggi a parlare di musica”.
La sua identità artistica è incarnata nella Premiata Forneria Marconi di cui è co-fondatore. “Siamo partiti come cinque musicisti di talento – spiega – e abbiamo iniziato a sperimentare. Il progressive è proprio l’esempio di come una forma musicale, che pesca da tante radici diverse, è capace di re-immetterle in un territorio che all’epoca era quello più popolare, la forma canzone, fino ad innovarlo. Sono qui a testimoniare la necessità anche per i ragazzi di oggi di cercare di condensare esperienze diverse, mondi diversi e di farne qualcosa di originale anche per non uniformarsi a quello che in qualche modo sono le mode del momento.
Oggi, come quarant’anni fa. I giovani musicisti sono chiamati a comprendere la realtà e sperimentare”. Il suo non è un giudizio completamente severo nei confronti delle nuove tendenze musicali. “Mai come in questo momento – valuta – i ragazzi hanno bisogno di raccontarsi, attraverso il suono. Lo fanno magari nella maniera più semplice e diretta, in questo caso la parola. Questo bisogno è normale, quello che è importante per chi fa formazione e arte è collegarsi con i ragazzi e mostrare cosa si perdono a rimanere sempre chiusi in una stanza, un cliché, in un modo di fare. Anche perché ci sono quelli che copiano. E quelli che copiano quelli che copiano.
Credo, tuttavia, nei giovani. Nella loro capacità di entrare nel mondo del suono e dobbiamo restituire a loro la coscienza di una musica che non è solo intrattenimento ma esperienza profonda, individuale, formativa”.
Per ribadire meglio il concetto, prende a esempio una delle più belle canzoni italiane di tutti i tempi, ‘Impressioni di settembre’ che porta la sua firma, su testo di Mogol e Mauro Pagani. “Questa canzone è rimasta un evergreen grazie all’inciso strumentale – sottolinea – Il suo racconto raggiunge l’apice quando non c’è la parola, quando non c’è nulla da spiegare: si percepisce solo la pura tensione emotiva. Questo è il grande regalo della musica”.