Bentivoglio omaggia Flaiano, dialogo di parole e suoni
“Il tentativo di far dialogare una lingua musicale e pressoché perfetta come quella di Flaiano con un altro linguaggio musicale, quello del contrabbasso”. Dal suo albergo nel centro storico, l’attore, regista e sceneggiatore Fabrizio Bentivoglio parla così della sua ennesima collaborazione con il musicista Ferruccio Spinetti, qui in occasione dello spettacolo Lettura clandestina – La solitudine del satiro, omaggio a Ennio Flaiano concepito per il cinquantenario della scomparsa dello scrittore e aforista di origini abruzzesi, avvenuta nel 1972. Un testo ricavato dall’antologia postuma che ha proprio come titolo La solitudine del satiro.
Proprio questo il nome che lo stesso Flaiano aveva dato a una cartella in cui, pochi mesi prima di morire, aveva raccolto alcuni articoli. L’intento per l’autore era quello, come ha ricordato l’attore, di approntare un libro che potesse servire per riuscire a sbrogliare il filo della nostra vita italiana, capire perché in Italia la linea più breve tra due punti è sempre l’arabesco (usò queste parole in un’intervista dell’aprile del 1972). Tre le repliche nel capoluogo, l’ultima stasera (ore 21) al Ridotto del Teatro comunale, per portare in scena un testo così denso di contenuti e riferimenti. Molto citato, ma quanto realmente conosciuto? Facitore proverbiale di aforismi tra i più evocati, Ennio Flaiano è stato protagonista di primissimo piano della vita intellettuale italiana, soprattutto in quel periodo fecondo che dalla fine della guerra attraversa il boom economico e porta fino alla fine degli anni Sessanta. I suoi motti, che ancora oggi punteggiano i social network come gli articoli di giornale, hanno decostruito meticolosamente la società italiana di quel periodo, per raffigurarne con intento satirico i (molti) vizi e le (poche) virtù.
Bentivoglio, che tipo di spettacolo ne viene fuori?
Scopo della messa in scena è poter sbrogliare il filo della nostra vita italiana e arrivare a capire meglio anche questa Italia di oggi, attraverso lo sguardo di Flaiano degli anni Cinquanta. Primo approccio al testo ha visto una selezione degli articoli. Abbiamo deciso di concentrarci su un articolo per annata, in un arco temporale di pubblicazioni che dal ’57 arriva proprio al ’72, 16 articoli in tutto. Ci tenevamo che emergesse un Flaiano anche intimo e privato che parla agli italiani come un padre, consapevole che pochi sono pronti ad ascoltare la sua lezione di libertà.
Un percorso artistico che rinnova la sua collaborazione con Ferruccio Spinetti
La nostra è un’amicizia di vecchia data, sin dai primi anni della Piccola Orchestra Avion Travel. Insieme, abbiamo lavorato a progetti significativi come La guerra vista dalla luna, restando in contatto. Credo che il suo contrabbasso riesca a dare i giusti accenti al testo, orientando l’attenzione del pubblico.
Per lei si tratta di un ritorno all’Aquila, che coincide con giornate particolarmente luminose. Che effetto le ha fatto?
L’attenzione è concentrata sullo spettacolo e non ho avuto molto tempo. Però, dal poco che ho visto mi fa piacere di assistere, in qualche modo, alla rinascita della città. Manca però un vero e proprio teatro e, l’altro giorno, mi hanno detto che qui la questione viene rinviata di tre anni in tre anni.
Progetti presenti e futuri?
Ho concluso da poco le riprese del film Eterno visionario di Michele Placido e continuo a lavorare in teatro.