Pfm: intervista a Franz Di Cioccio
“Facciamo musica al dente, non precotta”. Da buon pratolano, Franz Di Cioccio si trova a suo agio con le metafore enogastronomiche. Immagini che però sembrano un po’ irriverenti alla luce di oltre mezzo secolo di storia dei suoi Pfm, la band più celebre del progressive italiano. Nato a Pratola Peligna nel 1946, dopo aver trascorso l’infanzia nel paese natìo, insieme alla madre ha raggiunto il padre che lavorava a Milano e che suonava l’oboe. Crescendo in Lombardia è poi diventato batterista eclettico e frontman del gruppo che martedì 1 e mercoledì 2 si concede una due giorni in Abruzzo nell’ambito del suo tour estivo Pfm 1972-2023, un grande viaggio attraverso il tempo, con nuove sonorità che faranno sentire lo spettatore nel presente, ma allo stesso tempo proiettato verso il futuro. Video proiezioni e scenografie virtuali arricchiscono questo viaggio cinquantennale che abbraccerà anche la poesia di Fabrizio De André. Prossime tappe, dunque, a martedì Massa D’Albe, nell’anfiteatro di Alba Fucens, in una serata quasi sold out che si propone tra i grandi appuntamenti nel cartellone di Festiv’Alba. Il giorno precedente, sarà il sax di Jan Garbarek a riempire l’arena.
Mercoledì 2 agosto, i Pfm saranno, invece, a Roseto nell’ambito dell’ottava edizione di Emozioni in Musica, allo stadio “Fonte dell’Olmo”. La kermesse ospita anche Francesco Gabbani (martedì 1) e Al Bano (giovedì 3). La Pfm ha uno stile unico e inconfondibile che combina la potenza espressiva della musica rock, progressive e classica in un’unica entità affascinante. Nata nel 1970, la band ha guadagnato rapidamente un posto di rilievo sulla scena internazionale. Completano l’attuale formazione Patrick Djivas (basso), con Lucio Fabbri (violino, seconda tastiera, cori), Alessandro Scaglione (tastiere, cori), Marco Sfogli (chitarra, cori), Eugenio Mori (seconda batteria). In alcuni concerti si esibisce anche Luca Zabbini (organo hammond, tastiere e voce). La scaletta cambia ogni sera e ripercorre la carriera della prog band, da Storia di un minuto, album dell’esordio discografico nel 1972, a Ho sognato pecore elettriche, ultimo disco di inediti uscito nel 2021.
Di Cioccio, che effetto fa tornare nel suo Abruzzo?
Sono felice di tornare a sentire aria di casa. Non so se riuscirò a fare una capatina dalle mie parti, ma sono sicuro che questi due appuntamenti, ad Alba Fucens e Roseto, costituiscono un’occasione per amici e conoscenti delle mie parti. A loro dedicheremo due scalette speciali, perché il nostro concerto è ogni sera diverso.
Farete delle scalette dedicate?
In realtà, ogni sera ha una storia a sé. Ci teniamo a creare qualcosa per il nostro pubblico appuntamento dopo appuntamento. Dentro alle nostre canzoni mettiamo tanta improvvisazione rendendo il nostro show unico, con soluzioni messe su al momento ma frutto di un’intesa. Noi facciamo musica al dente che rappresenta ben altra cosa rispetto a comprare un cd e premere play.
Anche nei vostri album c’è tanta ricerca e sperimentazione
Per noi è importante rinnovarci, in un genere tanto variopinto come il progressive. Abbiamo avuto la fortuna di suonare in Europa, negli Usa, in America Latina e in Asia aprendo o chiudendo festival di genere importanti che ci hanno messo in contatto con i principali esponenti mondiali. La nostra è una strada di lungo corso e ci teniamo a creare qualcosa di nuovo.
Quanto conta il virtuosismo nelle vostre creazioni?
Per noi conta suonare bene, con intesa non ostentare il fatto di saper suonare.
L’album Ho sognato pecore elettriche, il cui titolo presenta un chiaro riferimento a Philip Dick, propone anche una riflessione sulla deriva quasi “distopica” della società attuale, in un momento condizionato da algoritmi, intelligenza artificiale e macchine che fanno cose. si potrebbe chiedere a un computer di produrre musica ‘stile Pfm’. Resta infastidito da questa cosa?
Ne sono consapevole. Ma per me la buona musica ha sempre un valore artigianale, genuino, prodotto sera dopo sera dal palco. Torniamo agli esempi in cucina: potrai avere tutte le pizze congelate del mondo da sfornare, ma il sapore di una pizza fatta a mano e cotta col forno a legna a Napoli è tutt’altra cosa.