Toni Servillo: Quel sei aprile dovevo essere all’Aquila
22 Novembre 2022 Condividi

Toni Servillo: Quel sei aprile dovevo essere all’Aquila

«Mi sento Toni a teatro e Servillo al cinema». Se il grande pubblico lo riconosce in Jep Gambardella, Titta Di Girolamo, Tony Pisapia, Giovanni Sanzio e in tanti personaggi che ha interpretato nel corso della sua fortunata carriera cinematografica, la storia professionale dell’attore napoletano non può prescindere dai suoi lavori sul palcoscenico. E la giornata inaugurale della 15ª edizione dell’Aquila Film Festival, che a lui ha dedicato una mini-retrospettiva, gli ha permesso di ribadirlo.
«Questa è una città bellissima che non vedo l’ora di visitare, per toccare con mano i progressi della ricostruzione», dice appena arrivato all’Auditorium del Parco. Un legame che viene da lontano: Servillo aveva le valigie pronte e una prenotazione – fatta dalla sua compagna – all’hotel Duca degli Abruzzi per la settimana del 6 aprile 2009, pronto per portare in scena “La Trilogia della villeggiatura”, spettacolo tratto dal ciclo delle commedie che Carlo Goldoni compose per la stagione autunnale 1761 del teatro San Luca di Venezia. Poi arrivò la scossa.
Ieri Servillo ha ritrovato il pubblico aquilano per ripercorrere i passaggi principali della sua carriera. La prima proiezione, “L’uomo in più” (2001), non è stata scelta a caso. «Quel lavoro», ricorda Servillo, «segnò l’inizio di una strada che ci ha regalato tante soddisfazioni». In serata, l’ultimo film: “La Stranezza”, ancora nelle sale, di Roberto Andò. Un omaggio a “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello. Dunque dal suo primo ruolo da protagonista al lavoro più recente. In mezzo circa venti anni in cui Servillo si è trovato a dare il volto a personaggi molto noti e ben piantati nell’immaginario collettivo, come Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Paolo VI. «Non ho mai avuto grandi doti imitative», ammette, «e non sono neanche un seguace della scuola americana che spinge su un lavoro di documentazione che ti appiattisce sulla realtà. In Andreotti ho cercato di ispirarmi a una definizione di Manganelli dei democristiani dell’epoca che vedeva “tra il curiale e il vedovile”. In generale, cerco di nascondermi non dietro ma dentro al personaggio». A introdurre Servillo, il produttore Angelo Curti (punto di riferimento per Sorrentino) e i docenti Massimo Fusillo, Mirko Lino e Doriana Legge, anche in virtù della collaborazione con l’Università dell’Aquila. Lino, professore di Storia del Cinema, tira in ballo una definizione efficace del Servillo cinematografico: «È il volto di un’Italia ambigua e ambivalente». Con la professoressa Legge il confronto sul teatro: «Più che altro mi sento un interprete e fino a 40 anni ho lavorato prevalentemente a teatro. Col cinema ci sono grandi differenze: il grande schermo non è una derivazione del palcoscenico ma del romanzo. Il regista ha in mano il giocattolo, a Napoli diremmo chi se shpass è iss (chi si diverte è lui). A teatro, invece, l’attore cerca di mettere in scena una maschera stilizzata di un personaggio che nasce dalla penna di un poeta o di un drammaturgo. Ogni interpretazione non sarà mai uguale a se stessa. Per questo motivo, mi pongo con il giusto distacco rispetto ai personaggi che interpreto e sviluppo un rapporto con il mio lavoro che non lascia spazio a narcisismo e identità personali». Questa mattina, l’attore terrà una masterclass tecnica all’Auditorium.

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro / Ansa / The Walk of Fame