L’Aquila, la musica che attraversa la zona rossa
28 Dicembre 2021 Condividi

L’Aquila, la musica che attraversa la zona rossa

Un’arpa, un violoncello, una coppia di crome e una chiave di violino lambiscono il cantiere di palazzo Margherita, sede dell’assise civica fino al 6 aprile 2009. Proprio lì, quasi due anni più tardi, l’allora primo cittadino Massimo Cialente si barricò – nel giorno dell’unità d’Italia e con tanto di fascia tricolore – per chiedere risposte a una città abbandonata a se stessa, dopo un terremoto e tanti proclami. La ricostruzione, quella vera, si faceva attendere e il centro storico aveva bisogno di ben alto che di luci d’artista.

Oggi, invece, all’Aquila servono anche queste decorazioni luminose e questa musica di Natale che attraversa l’asse centrale, passando da altoparlante ad altoparlante. Talvolta, tra l’uno e l’altro si insinuano le note del flauto traverso di Klaus, il musicista tedesco tanto legato all’Abuzzo, così come al suo capoluogo e alle montagne che lo circondano. Capelli bianchi e frac di altri tempi, si è fatto vedere da queste parti la settimana prima della Vigilia. Parliamo di Klaus Peter Diehl, un ex bancario che per la musica ha rinunciato alla carriera in Deutsche Bank. Prima di fare il busker, sfidando freddo, caldo, pregiudizi e furti sporadici, ha inciso decine di registrazioni ed è salito su palchi importanti, anche accanto a gente come Sinead O’Connor. Ma il richiamo della strada ha prevalso su qualsiasi altra cosa. Il suo è un “neverending tour” attraverso l’Europa, con frequenti tappe da queste parti, talvolta anche sulle vette del Gran Sasso.

Un’arpa, un violoncello, una coppia di crome e una chiave di violino. Luci d’artista che restituiscono alla musica un valore importante: nella battaglia di questi anni, oltre a ricostruire case e palazzi c’è stato da tenere unita una comunità, in momenti in cui tutto suggeriva di chiudere bottega e riproporsi altrove. Una battaglia in parte vinta, sia grazie a una ricostruzione che ha ridato luce alle periferie e alle vie principali del centro storico, sia per merito di anticorpi sviluppati in questi anni di crisi. Anticorpi che, peraltro, hanno reso tanti aquilani meno facilmente suggestionabili di fronte alle iperboli e alle isterie narrative di questi ultimi due anni.

Un percorso tutt’altro che rosa e fiori: terremoto ed emergenze sanitarie si sono sovrapposti a un momento di crisi economica e finanziaria, con continua emorragia di posti di lavoro. Per tante piccole imprese, le certezze non esistono, anche solo a livello logistico: tra regole, restrizioni, autorizzazioni, verifiche strutturali e traslochi non preventivati. Eppure la comunità c’è e resiste, forse meglio che in altre realtà meno segnate da zone rosse.

Bruce Springsteen, ci aveva visto lungo dedicando My City of Ruins “alla gente de L’Aquila”, dal palco dello Stadio Olimpico, l’estate del 2009. Le armonizzazioni della strofa raccontano lo stato di abbandono e di degrado di Asbury Park, cittadina del New Jersey che per decenni ha fatto i conti con le ripercussioni della Grande Depressione. La stessa canzone che, dopo l’11 settembre del 2001, è diventata poi simbolo della speranza di un nuovo inizio, della rinascita, della “risurrezione”. Un messaggio che arriva anche alla nostra gente: quel “Come on rise up” invocato nel ritornello che si sovrappone alle macerie.

Quell’invito a resistere e a guardare avanti che si ripeterà qualche anno più tardi, in un’altra dedica del Boss, durante un concerto negli Usa nel 2016, l’anno del terremoto di Amatrice. Giorgio Battistelli, oggi presidente della Società concertistica aquilana “Bonaventura Barattelli”, si è trovato più volte trovare un senso al suo lavoro, ben oltre le logiche di uno spartito. “Dopo il terremoto aquilano abbiamo valutato a lungo se fosse il caso portare la musica nelle tendopoli oppure no. Ci sembrava un gesto irriverente, non rispettoso magari nei confronti di chi aveva perso tutto, oppure aveva avuto vittime tra famigliari e amici. Ma poi abbiamo avuto fiducia nella musica, capendo che può arrivare dove le parole non arrivano”.

Non si contano tributi e gli omaggi in musica da parte di artisti di ogni genere, arrivati all’Aquila non solo perché incentivati dai riflettori potenziati dalla narrazione miracolistica dell’ex premier Berlusconi che fece trasferire qui anche il G8. L’auditorium della Guardia di Finanza che accolse il summit mondiale ospitò i concerti di Ennio Morricone, Riccardo Muti, Gianni Morandi, Claudio Baglioni, Claudio Abbado. Quest’ultimo, nel 2012, diresse anche il concerto inaugurale di un’altro auditorium, progettato da Renzo Piano alle porte del centro. Significativo, tuttavia, il contributo di artisti che scelsero di dribblare i circuiti ufficiali per entrare in contatto direttamente con la gente, come i Bandabardò, Venditti e Piero Pelù. Lo stesso Franco Battiato accolse l’invito di Raffaele Morabito, un docente universitario, evitando di passare per la porta principale. Affollatissimo il concerto di Vinicio Capossela a Fossa.

“Il jazz italiano per L’Aquila” è stato il primo capitolo di un percorso importante, significativo, indimenticabile che ha visto riversarsi nel capoluogo abruzzese, il primo weekend del settembre 2015, un fiume di persone appassionate che si sono strette attorno al cuore di una realtà profondamente segnata dalle scosse. Dall’anno successivo, Paolo Fresu e compagni hanno dovuto fare i conti anche con il terribile sisma che ha messo in ginocchio il centro Italia, il 24 agosto. Ma la maratona jazz resta parte integrante di un cartellone estivo che ha sfidato regole e restrizioni, tanto da fare invidia quello allestito in capoluoghi anche più grandi. Si resiste anche così.

di Fabio Iuliano – fonte: Girodivite.it