Ticket to Ride: pt. 23, viaggio nelle contaminazioni
Il ventitreesimo viaggio di “Ticket To Ride – canzoni in viaggio” esplora i meandri della contaminazione, termine capace di evocare malattia, morte e distruzione ma che sorprende con i suoi risvolti positivi perché si contamina anche quando si mescola, quando si fonde e il risultato è più ricco, più resistente, migliore insomma.
Si parte sulle note di Ya Baba Maragià (2005) dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Nata nel 2002 per valorizzare piazza dell’Esquilino a Roma, l’Orchestra è una realtà unica che mescola linguaggi testuali e musicali, nella ferma convinzione che mischiare culture produca bellezza. Una scommessa che unisce continenti diversi, i loro suoni e la loro storia. Dal 2002 ad oggi oltre 100 musicisti provenienti da aree geografiche e da ambiti musicali molto diversi tra loro si sono incontrati realizzando progetti che spesso hanno costituito per loro opportunità di riscatto sociale.
Si prosegue, poi, con Redemption Song (1980) di Bob Marley, un canto di pace e libertà in cui il termine redenzione, oltre che liberazione dal peccato attraverso una vita giusta, indica soprattutto la liberazione dalla condizione di schiavitù. L’omaggio alla Giamaica parlando di contaminazione è d’obbligo: molti Giamaicani sono mulatti, discendenti degli schiavi africani portati sull’isola dai colonizzatori europei, discendenti dei colonizzatori, appunto, e, addirittura, discendenti dei pirati che sbarcarono sull’isola, Morgan ne diventò perfino governatore, nel 1680, con base a Port Royal. Oggi i giovani giamaicani, più che il reggae, ascoltano la dancehall a suo modo anch’essa una contaminazione, in quanto risultato della fusione della musica elettronica con le sonorità hip hop.
Si approda poi tra i capolavori effimeri della Land Art, una forma d’arte contemporanea, nota anche come Earth art, Earth works («arte della terra», «lavori di terra»), nata negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e caratterizzata dall’intervento dell’artista negli spazi incontaminati come deserti, laghi salati, praterie, ecc. È un’espressione artistica che utilizza pietre, tronchi, alberi, muschio, terra, sabbia, ecc. per creare nuove forme. Molto spesso la maestosità delle opere è in contrasto con la fragilità o la deperibilità dei materiali ed è imprevedibile lo stesso spazio espositivo a causa degli agenti atmosferici. Le opere, però, si deteriorano secondo un ciclo vitale stabilito dalla natura. Questa forma d’arte affida allora alla fotografia la documentazione, la diffusione e la memoria delle opere, contaminati e contaminanti, linguaggio fotografico e concetto di tempo diventano, quindi, parte integrante dell’espressione artistica.
La puntata prosegue con un’incursione in Pulp fiction (1994) il capolavoro di Tarantino che proprio nel brano di apertura Misirlou fa rivivere una canzone greca degli anni ’20, rappresentante del rebetiko (Ρεμπέτικο) o, al plurale, rebetika (Ρεμπέτικα), sottinteso traghoudia (τραγούδια = canti), un genere musicale greco. Nato in Grecia tra XIX e XX secolo, nei bassifondi della società, da emarginati che raccontavano i loro disagi o le loro peripezie, il rebetiko ha un valore analogo a quello del tango in Argentina, del blues in America o del fado in Portogallo.
La contaminazione è presente in qualsiasi aspetto della vita, quella biologica è probabilmente la più conosciuta, ma esiste addirittura un costituzionalismo meticcio ossia la contaminazione tra modelli costituzionali. In gastronomia, invece, c’è contaminazione quando un ingrediente o una tecnica vengono inseriti in un contesto culturalmente ed etimologicamente diverso ma che si adatta a loro perfettamente. Quando le cucine di due o più Paesi si mescolano in armonia ed equilibrio nasce la cucina fusion, fenomeno nato negli anni ’70. Gli antropologi del cibo hanno dimostrato che non esiste una sola tradizione al mondo che nel corso dei secoli non abbia avuto l’apporto delle civiltà con cui è entrata in contatto.
Il viaggio si conclude a ritmo di taranta grazie a Vinicio Capossela che, nel brano “il ballo di san Vito” (1996), accosta i movimenti della taranta al ballo di San Vito (la malattia Corea di Sydenham) i cui sintomi sono proprio dei movimenti incontrollati. Il nome Tarantella deriva da tarantola, in quanto anticamente si pensava che attraverso la danza si potesse curare il morso velenoso di questo ragno che provocava convulsioni, agitazione e dolore fisico. Tante le tradizioni popolari italiane e mediterranee che hanno prodotto una tarantella, contaminando musica e racconti magici in una “Terra di dove finisce la terra” dove “la desolazione che era nella sera / s’è soffiata via col vento, s’è soffiata via col rum/ s’è soffiata via da dove era ammorsata”.
TICKET TO RIDE – Canzoni in viaggio. Puntata n. 23 del 23.03.2021