19 Novembre 2020 Condividi

“Negazionisti”

 È una vecchia e cattiva abitudine italiana quella di etichettate tutto e tutti, senza alcun interesse di confrontarsi con quello che, anche se a volte strumentalizzato, possa essere solo un modo diverso di guardare allo stesso problema.

Partiamo da questo punto di vista, condiviso – e, per carità, anche condivisibile – qualche giorno fa dal giornalista Giampaolo Arduini: tutti i negazionisti, della Covid come della peste nel Manzoni, in realtà incarnano l’estremizzazione della paura il terrore è tale che fa più comodo pensare che il fatto non esista, è un meccanismo ben noto agli psicologi. “Ed è però anche segno della stanchezza delle persone di fronte a una seconda ondata”, prosegue il collega, “all’inizio va bene anche fare l’immane sacrificio del lockdown, ma poi il ripetersi della stessa situazione psicologicamente sconvolge, quando la cosa sembrava finita è ripartita”.

icuramente è così, consapevolmente o inconsapevolmente, si tende a esorcizzare la paura e questo ti porta a semplificare la realtà o a guardarla da una prospettiva offuscata dai bias di conferma che troviamo, magari, direttamente sulle nostre bacheche social, complici i vari algoritmi.

In realtà, la paura fa breccia su molte più persone: a proposito di Promessi Sposi, una sequenza dell’adattamento di Salvatore Nocita ricostruisce il clima di sospetto e paura nella Milano afflitta dalla peste. Immagini di figure temute e odiate, come i monatti e i presunti untori: “Paure ingiustificate, qui non c’è nulla di cui preoccuparsi, solo un po’ di sporcizia”, dice il protomedico Tadino, personaggio storico realmente esistito.

“Ma è una menzogna, l’ho visto io quel vecchio mentre ungeva una panca, anche una donna l’ha visto”, replica un uomo fra la folla.

“Avete sentito il dottore no? è un uomo di scienza, sa le cose: quelli che voi chiamate untori non esistono. Non è così che il morbo si propaga”. E poi in disparte, a bassa voce: “Resta mio dovere intervenire per tranquillizzare gli animi, ma le confesso che la penso esattamente come loro, signor protomedico Tadino”.

“Voi? Anche voi credere a questi untori, questi perversi, emissari dei francesi o, addirittura, al Malefico?”

“Se credo in Dio, dottore per quale ragione non dovrei credere nel diavolo?”

“Perché il diavolo non è così stupido, il diavolo è una creatura geniale. Non si servirebbe mai di pochi miseri untori per seminare la morte e il delirio tra la povera gente. Lui approfitterà della peste per insinuare il suo vero flagello: la paura. La paura inizierà a colpire sia il povero che il ricco e non rispetterà nessuno. E sarà peggio dell’epidemia”.

Se le premesse sono queste, per dirla con le parole di Paolo Rumiz, la responsabilità dei narratori in periodi come questo “è enorme: devono offrire visione, prospettiva, consapevolezza, speranza. Ma non una speranza astratta, beota. No, quella vera, che nasce dal suo opposto, dal fondo della disperazione”. Tutto il contrario del flusso di immagini, parole, dati e numeri dato in pasto agli utenti quotidianamente, con la caccia al titolo o alla foto più accattivante e alle parole più funzionali a fare clic. Tanto non è questo il tempo della deontologia. Non è questo il tempo per fare caso al clicbait.

Basta mettere la scienza davanti. Sia chiaro, che le istituzioni facciano riferimento a delle organizzazioni nazionali o internazionali è sacrosanto. Ma che qualsiasi scelta e qualsiasi visione debba essere incontrovertibile “perché lo dice la scienza” è un pochino azzardato. Cosa dice la scienza? Domenico Guarino, collega di Controradio, ha ricordato che la frase “Gli scienziati sono divisi” è probabilmente una delle frasi più ascoltate da marzo in avanti, su qualsiasi aspetto di questa pandemia”.

Un esempio fresco fresco? L’istituto tumori di Milano ha avanzato l’ipotesi che il Coronavirus circolasse in Italia già da settembre 2019. Uno studio sui campioni di sangue di quasi mille pazienti che avevano partecipato allo screening per il cancro ai polmoni ha, infatto, rivelato la presenza degli anticorpi specifici cinque mesi prima della scoperta del primo paziente malato di Covid-19. Tuttavia, parte della comunità scientifica si è detta scettica in attesa di conferme reali.

Tra i primi a prendere le distanze – violando per l’ennesima volta il silenzio stampa che lui stesso si era imposto – Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive del Sacco di Milano, dice di attendere delle “conferme reali perché è veramente difficile pensare che il virus sia così vecchio”. la scienza divisa, dunque. Ma se critichi uno scienziato mainstream diventi immediatamente un “negazionista”. E se fai delle obiezioni basate sulla logica e sull’evidenza la risposta è appunto ’lo dice la scienza’. “Di scienza”, ancora Guarino, “possono parlare solo gli scienziati. E se gli scienziati dicono tutto e l’opposto di tutto, va bene uguale”.

Un clima che introduce l’ortodossia nel dibattito, rispetto alla religione del momento, teorizzata anche dal professor Riccardo Manzotti, docente di filosofia allo Iulm di Milano: “Il ’covidismo’ è, in molti modi, la nuova grande religione nei confronti della quale si compiono sacrifici (umani), si combattono guerre, si divide il mondo tra fedeli e infedeli, si compiono rituale, si vogliono censurare gli ereticI”.

E come li chiami gli eretici? Li chiami negazionisti. Oddio, non mi è mai passato per la testa di difendere i negazionisti. Anzi, negazionisti, quelli veri, andrebbero presi a calci dove serve di fronte a una realtà limpida, evidente sotto gli occhi di tutti e neanche, purtroppo, democratica. Detto questo, proprio a proposito di democrazia, mi preoccupa molto l’estensione per luogo comune dell’aggettivo “negazionista” (sostantivo terribile che tira in ballo una corrente di criminali storici che negava la Shoah) non solo a colui che esclude l’esistenza del Coronavirus ma anche a chi solleva dubbi sulla gestione della pandemia, sui modelli di intervento, sull’interpretazione dei dati del contagio.

Un luogo comune in cui vedo cadere decine di intellettuali, ricercatori, giornalisti, comunicatori. Tempo fa, su Repubblica è uscito questo titolo: “Medico negazionista indagato per procurato allarme aver detto che il vaccino antinfluenzale attiva il Covid”. Chi ha fatto il titolo, ha messo nella stessa frase l’affermazione del medico “il vaccino antinfluenzale attiva il Covid” e l’aggettivo “negazionista”. Come potrebbe questo medico essere preoccupato per una patologia che nega?

Così, basta non essere di poco allineato alla corrente dei personaggi mainstream per essere screditato. Ma a chi giova tutto questo? La Wu Ming Foundation ha avanzato l’ipotesi che la caccia al negazionista nasconda un serie di aspetti alla base delle tante problematiche legate a questa seconda ondata.

“Siamo tornati alla DAD”, scrivono, “dopo avere varato protocolli nazionali sulla gestione degli spazi scolastici e fatto investire denaro pubblico a governatori regionali e dirigenti per adeguarsi alle nuove normative. Soldi nostri buttati nel cesso. “Se fai notare tutto questo, però, sei ’negazionista’, e ti becchi l’attacco concentrico, i titoloni, i video virali, la memetica d’accatto, le invettive sui social, gli (ex-)amici che ti infamano”.

Nel frattempo, è acclarato che:

■ l’Italia non aveva un piano pandemico aggiornato e il rapporto commissionato dall’OMS che denunciava il fatto è stato insabbiato;

■ durante l’estate il governo ha fatto poco o niente per arginare la tanto paventata seconda ondata (ma il ministro Speranza ha trovato il tempo di scrivere un libro intitolato Perché guariremo, la cui uscita in libreria è stata posticipata sine die);

■ in certe regioni le terapie intensive reggono bene, mentre in altre i malati di covid muoiono in corsia;

■ i tanto decantati metodi di “tracciamento” ipertecnologici sono andati in crisi nel giro di due settimane, tanto che nessuno ne parla nemmeno più; ecc.

“Ecco”, concludono, “cosa nasconde la caccia al negazionista”

di Fabio Iuliano – fonte: www.girodivite.it