Hurt, l’arte di essere fragili: dai Nine Inch Nails a Johnny Cash
“Signor Cash, se avesse il tempo di cantare una canzone, una sola, per lasciare un ricordo prima di diventare polvere, canterebbe una canzone che parla della sua pace interiore e di come vuol gridare al mondo che lei l’ha trovata, oppure canterebbe qualcosa di vero, qualcosa che sente realmente?”
Per quanto gli sceneggiatori di Walk the Line – il film tributo a Johnny Cash, interpretato da Joaquin Phoenix – possano aver romanzato il primo incontro con l’impresario discografico, non riesce difficile immaginare il momento in cui si sia sentito richiedere di tirare fuori quell’unica canzone con cui avrebbe “detto al Signore che cosa pensa del tempo che ha passato sulla terra”.
“Perché”, prosegue il dialogo mentre scorrono i fotogrammi, “è questo che la gente vuole ascoltare, queste sono le canzoni che realmente salvano”. Lui ovviamente suona Folsom Prison Blues, uno dei brani che, per tutta la vita, gli resteranno incollati addosso. Non può suonare Hurt, perché non è la sua anche se molti non ricordano altre versioni a parte quella di Cash, resa ancora più emozionale dal video di Mark Romanek che immortala un uomo all’epilogo che ha davanti, ma non consuma, la sua ultima cena. Uomo circondato da cimeli e fotografie e nature morte della sua casa museo che andrà in fiamme nel 2007, ad alimentare la leggenda. Le immagini sono intervallate da spezzoni di video d’epoca. Ricordi vicini e lontani. Il suo sguardo si incastra con quello della moglie June Carter.
A fine brano, Cash piega il capo e chiude il pianoforte. Il suo epilogo si gioca tutto nell’arco di pochi mesi tra il 2002 e il 2003: l’ultimo album, la deriva della malattia, la morte dell’adorata moglie e, poco dopo, anche la sua. E Hurt – dolore e consapevolezza – accompagna il suo ultimo viaggio, come se fosse il suo testamento d’addio, come un messaggio capace di trascendere. Quando nel 2001, insieme al produttore Rick Rubin si era trovato a scegliere le canzoni per “American IV: the man comes around” – quarto capitolo degli “American Recordings” – Cash rimase fulminato per come quelle parole potessero esprimere il suo tramonto:
“Quando ho sentito quella canzone ho pensato: ‘suona come qualcosa che avrei potuto scrivere negli anni sessanta’. Ci sono più cuore, anima e dolore in quella canzone che in tante mie venute dopo”.
“Hurt” è stata scritta nel 1994 dai Nine Inch Nails, famosa band americana guidata da Trent Reznor. Quest’ultimo venne poi contattato dagli agenti di Cash per ottenere il permesso di realizzare una cover. Appena sentita la richiesta, Reznor disse di essere lusingato, ma allo stesso tempo preoccupato che la sua canzone potesse essere svilita del suo senso originario. Quello di Reznor, infatti, era una canzone che parlava di senso di inadeguatezza, di incoerenza, di senso di vuoto e solitudine. Una canzone struggente ma comunque capace di immaginare un futuro diverso.
I hurt myself today
Oggi mi sono ferito
To see if I still feel
Per vedere se provavo ancora qualcosa
I focus on the pain
Mi concentro sul dolore
The only thing that’s real
L’ unica cosa reale
The needle tears a hole
L’ago che pratica un buco
The old familiar sting
La solita vecchia puntura
Try to kill it all away
Che tenta di eliminare ogni cosa
But I remember everything
Ma io ricordo tutto
Cash dà più o meno consapevolmente un altro significato allo stesso testo. Come se guardasse l’intera sua esistenza dallo specchietto retrovisore.
What have I become
Cosa sono diventato
My sweetest friend
Mia dolcissima amica
Everyone I know goes away
Tutti quelli che conosco se ne vanno
In the end
Alla fine
Inutile dire che la spaccatura profonda tra le due versioni è legata a quell’ “If I could start again” che suona così diverso se pronunciato sui titoli di coda. “La prima volta che l’ho visto ho pianto”, si è trovato a dire il produttore Rubin. “Incredibile come si sia riuscito a racchiudere tanta emotività in soli quattro minuti di video”.
Non molto diversa la reazione di Reznor, anche se per motivi diversi: “Ero in studio quando feci partire il video. Ho sentito le lacrime salirmi agli occhi, avevo i brividi. Sentivo come se la mia ragazza mi avesse lasciato, perché quella canzone non era più mia. Pensavo solo al valore che può avere la musica, la sua potenza comunicativa come forma d’arte. Mi ricordavo di quando avevo scritto quella canzone nella mia camera da letto, in solitudine. Poi arriva questa leggenda della musica e le dà una lettura diversa, riuscendo però a mantenere puro il suo significato”. Altri, come Eddie Vedder, si sono confrontati con queste strofe dando alla canzone una connotazione ancora più distinta.
“Es peligroso asomarse al interor – è pericolorso affacciarsi all’interno” teorizzava con immagini Luis Buñuel ed è proprio quello che succede con Hurt: un focus sincero e intimo sul dolore, l’unica cosa reale. Per ritrovare quelle lacrime che salvano, quelle di cui domenica parlava papa Francesco mentre chiedeva la “grazia di saper piangere” riconoscendo la propria fragilità in questo tempo sospeso.