L’Aquila, il cimitero e le sue storie senza tempo
15 Giugno 2019 Condividi

L’Aquila, il cimitero e le sue storie senza tempo

“Ha voluto morire per non aver potuto rendere la sua vita conforme al suo sogno – 18 giugno 1948”. Caratteri che quasi scompaiono sul marmo circondano una foto, invece, dai contorni nitidi che ritrae un giovane col vestito del giorno di festa.

STORIE E MUSICA. Dalle date impresse sulla tomba, apprendi che non ha vissuto più di 22 anni, imprigionato in una vita che, forse, non sentiva più sua. La sua storia è solo una delle tante che racconta il cimitero monumentale dell’Aquila. Ogni angolo è una pagina di libro aperto di una piccola grande città che non c’è più. Aneddoti, circostanze, curiosità che Andrea De Petris raccoglie e condivide nei suoi tour periodici del cimitero monumentale. Dagli inizi Duemila il 45enne aquilano – che nella vita suona anche la chitarra e recita in teatro – organizza percorsi verso gli angoli meno conosciuti dell’area cimiteriale. Una consuetudine interrotta con il terremoto del 2009, ma ripresa nei mesi scorsi. L’organizzazione è spontanea e, spesso, affidata unicamente al passaparola.

AMORE E MORTE. Si entra al tramonto, a gruppi di 20 persone e, spesso, alla visita è abbinato un piccolo omaggio musicale (l’ultima volta con Francesca Catenacci), magari rivolto ad alcuni personaggi la cui storia si intreccia con le note. Parliamo, ad esempio di Francesca Chiodi, la cui lapide si riconosce da una bella foto che la ritrae con un vistoso cappello con piuma bianca. Amore, passioni, tradimenti hanno accompagnato una vita da personaggio letterario. Prima l’adolescenza difficile, poi il riscatto sul palcoscenico, come vedette del café-chantant, grazie a una voce fuori dal comune. Il nome d’arte era quello di Paolina Giorgi. Infine, la tragedia, che la vide giovane vittima di un omicidio-suicidio a Genova, nel 1911: pagò lo scotto di un amore non corrisposto e il fatto di cronaca fu raccontato dalle principali testate nazionali. La sua figura ha ispirato diverse opere letterarie (prima Silvio Spaventa Filippi, nel 1921; poi Corrado Augias, nella sua trilogia di libri noir anni ’80), e la sua tragica fine è stata un simbolo della battaglia femminile per anni. Morì a 27 anni, come tanti altri musicisti

I SIMBOLI. Altrettanta importanza simbolica la tomba di Karl Heinrich Ulrichs, considerato il padre del movimento di liberazione omosessuale e punto di riferimento dei movimenti Lgbt in tutto il mondo.

NAPOLEONE. All’inizio della visita, De Petris racconta la storia dell’area prima della nascita del cimitero, conseguenza dell’editto emanato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804, evocato anche da Ugo Foscolo nel carme dei Sepolcri. L’editto stabilì che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Prima, nella zona, trovavano casa i monaci olivetani, che coltivavano l’orto e facevano il vino, oltre a ospitare la mensa per i poveri.

LUOGHI SCONOSCIUTI. Nei tour si visita anche una delle costruzioni più incredibili della città, che in pochi conoscono: il loculario sotterraneo. Poi, si passa all’ossario, risalente all’epoca fascista. Qui trova spazio anche un feto in un barattolo, conservato dalla formalina. Infine, la cripta. De Petris ha iniziato a girare il cimitero da piccolo, quando si è trasferito con la famiglia nel quartiere Torretta. «Invece di andare al parco giochi», racconta ai visitatori, «ci divertivamo a perlustrare, esplorare. Non è un caso che io non sia il solo ad aver sviluppato negli anni una passione per questi temi. Il mio amico di infanzia Roberto Fusco, è oggi un esperto di film horror, a tal punto da organizzare un festival a tema». Un luogo, il cimitero, che non dovrebbe in sé fare paura, in quanto molto più sicuro di altri, sotto ogni punto di vista. Tuttavia ne siamo tutti spaventati.  «Dietro a ognuno di questi lumini si cela la storia di una vita», valuta De Petris. «E queste storie senza tempo ci interrogano: forse, dietro la paura dei morti c’è la paura di non vivere a pieno la nostra esistenza».

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro