Martin, L’Africa e il sogno di guidare un bus
Il Benin è uno dei Paesi più poveri dell’Africa, poco conosciuto. Martin viene da lì e lavora nei cantieri della ricostruzione post-sisma. La sua storia è raccontata nel libro “Le mani della città” di Claudia Pajewski. Il libro è stato presentato nella sede del Gran Sasso Science Institute alla presenza, tra gli altri, dell’ex ministro Fabrizio Barca. «Non abbiamo la guerra», racconta Martin, «la politica funziona e si vota regolarmente per eleggere chi ci rappresenta, insomma si vive in pace e in allegria anche se c’è la sofferenza della povertà. Sono nato 41 anni fa in un piccolo villaggio che si chiama Adromè, i miei genitori sono ancora lì. Sono andato a scuola, ma ci sono tanti villaggi in cui ancora non arriva nemmeno l’elettricità».
L’Africa non è solo guerra e miseria come fanno vedere in televisione. «Prima del colonialismo», sottolinea, «avevamo già la nostra cultura e la nostra lingua. Gli africani hanno voglia di crescere e migliorare però, come dire, il maestro non può vedere l’allievo crescere più di lui, questa è la politica che fa dell’Africa un paese sempre sotto controllo. Proprio quelli che parlano di diritti e democrazia sono gli stessi che opprimono le popolazioni per poterle controllare».
Da ragazzo, Martin ha vissuto per un po’ in Nigeria dove ha imparato l’inglese, e un paio d’anni in Costa d’Avorio, dove ha lavorato come cuoco al consolato della Danimarca. «Poi è iniziata la guerra», ricorda, «e ho raggiunto mio fratello a Roma nel 2001. La famiglia per cui lavorava mi ha aiutato con il visto e ho lavorato da loro in campagna. Con il tempo ho preso la patente per l’autovettura, poi quella per guidare il camion, poi un’altra patente per portare i mezzi più pesanti, così sono diventato autotrasportatore. Oggi ho quasi tutte le patenti, anche quella per la moto. È una passione che ho da quando ero bambino. C’era questo cugino più grande di me in Benin, quando tornava tutti i bambini del villaggio correvano dietro al suo camion, era un’emozione incredibile».
La musica è un’altra passione. «Da anni organizzo anche serate di musica afro in giro per l’Italia», rimarca. «E così una sera ho conosciuto la mamma di mio figlio in un locale dell’Aquila. È rimasta incinta e abbiamo deciso di tenerlo. Non è stato facile dirlo ai suoi genitori, ma quando è nato il bimbo è cambiato tutto. Si chiama Wanyiyi, che nella mia lingua significa Amore. Dopo la sua nascita, da circa un anno, ho iniziato a lavorare come operaio. Non posso più fare il camionista, quel lavoro significa partire la domenica sera e tornare il sabato pomeriggio. Il mio sogno però sai qual è? Portare l’autobus, mi andrebbe bene anche solo per sei mesi. È una sfida, qui non ho mai visto una persona di colore guidare l’autobus in città».