27 Dicembre 2014 Condividi

"Terremoto 2009, fuori tutta la verità"

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Un unico processo, non tanti procedimenti “spezzettati”. Un’unica azione giudiziaria che metta di fronte alle proprie responsabilità i membri della commissione grandi rischi, così come rappresentanti di organismi locali e vertici nazionali, a cominciare dal capo della Protezione civile all’epoca del sisma, Guido Bertolaso. A un mese dalla sentenza d’appello Vincenzo Vittorini e Pierpaolo Visione, in prima linea sin dal principio come parti civili, mettono sul tavolo una valigia di documenti per denunciare «fatti, omertà, faziosità e nebulosità nella vicenda: una cortina tirata su dallo Stato per coprire se stesso e offuscare la verità sulla strage dell’Aquila». Parole pesanti, da parte di due persone a cui il terremoto ha fatto pagare un duro prezzo (Vittorini ha perso moglie e figlia, Visione la sorella e due nipoti).

IL NODO BERTOLASO. Il nodo primario è la posizione di Bertolaso. Di fatto, se la sentenza d’appello riconosce delle responsabilità, queste sono da cercarsi all’interno della Protezione civile. Dei sette membri della commissione, l’unico condannato è Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo dipartimento. La posizione di Bertolaso è ora al vaglio della procura generale della corte d’appello. Potrebbe essere destinatario di una possibile richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo plurimo, in quanto ritenuto dall’accusa ispiratore del messaggio rassicurante circa l’ipotesi di un forte terremoto. «Questo a noi non basta», spiega Visione. «Da quando il quotidiano Repubblica ha divulgato quei video con le telefonate tra Bertolaso e la Stati abbiamo chiesto, invano, alla Procura di fermare il processo. Dato il contenuto di quei documenti, era evidente che l’ex capo della Protezione civile fosse una sorta di dominus della riunione. Ma questo tira in ballo un altro tipo di responsabilità, relativa al dolo eventuale che mette gli inquirenti nelle condizioni di poter disporre delle intercettazioni. E poi», aggiunge, «il dolo eventuale non è soggetto a prescrizioni». Visione e Vittorini ci tengono a escludere qualsiasi forma di accanimento. «Noi non abbiamo niente contro Bertolaso, né contro nessuna delle persone tirate in ballo nel processo. Ma chiediamo che prima di lasciarsi coinvolgere in ulteriori progetti umanitari in Africa, non abbia paura di confrontarsi qui all’Aquila con un procedimento giudiziario».

UNA RICOSTRUZIONE. È lo stesso Visione a ricordare come sono state inoltrate le prime denunce. «Ero nell’hangar allestito per le vittime del sisma quando dissi per la prima volta – a un giornalista intrufolato – che lo Stato ci aveva traditi rassicurandoci. In quei primi mesi maturai una coscienza critica, arrivando ad agosto a presentare il primo esposto a procura e carabinieri. All’epoca conoscevo Vittorini ma non sapevo che anche lui stava cercando documenti per preparare esposti analoghi».

I TEMPI DEI SOCCORSI. «Mia sorella Daniela», spiega, «è morta in un edificio in piazzale Paoli. Lì, i primi soccorsi arrivarono non prima di quattro ore. Molta gente si sarebbe salvata. Il sistema di soccorsi non era pronto per un’emergenza del genere». Al suo fianco, Vittorini ribadisce che le responsabilità in questo vanno imputate anche a un’amministrazione comunale «incapace di applicare un piano di protezione civile che, sulla carta, serve solo per parare il fondoschiena dei politici di turno».

IL SINDACO. «Non ce l’ho con Cialente, in particolare. Chiunque poteva trovarsi al suo posto a ricoprire la carica. Tuttavia, il sindaco deve spiegarci come mai ha rilasciato interviste alla stampa dicendo di essere stato rassicurato, mentre nelle aule del tribunale ha detto esattamente il contrario. Allo stesso modo», aggiunge il medico, «imputati come l’ex capo dell’Ingv, Enzo Boschi, hanno raccontato la loro verità sulla Commissione praticamente a chiunque, tranne che davanti al giudice».

LA PROCURA. Altra nota dolente, a detta dei due, il lavoro della Procura che avrebbe condotto indagini «lacunose e frammentarie» che avrebbero compromesso l’accertamento della verità. «Non presenterò mai più un esposto all’Aquila», incalza Vittorini che critica la scelta dei pm di dividere le indagini in più filoni senza tener conto di un quadro di insieme dove invece le responsabilità di tutti, dalle più alte sfere istituzionali agli amministratori locali, erano concatenate». Abbiamo chiesto in varie occasioni alla procura dell’Aquila, man mano che in questi anni uscivano nuovi fatti e nuove argomentazioni», ha affermato Vittorini «di racchiudere tutto in un unico processo, perché qui c’è stato un default di tutto lo Stato, dal livello centrale a quello locale».

di Fabio Iuliano – fonte il Centro