A Trieste coi Pearl Jam, l’omaggio al medico aquilano morto sulla neve
27 Giugno 2014 Condividi

A Trieste coi Pearl Jam, l’omaggio al medico aquilano morto sulla neve

TRIESTE. Gli accordi distorti di Deep risuonano ancora nelle casse quando Eddie Vedder si avvicina al microfono. Non per cantare ma per leggere, in un italiano dalla strana pronuncia, poche parole annotate sul foglio. È il suo modo per condividere con il pubblico, giunto domenica a Trieste da mezza Europa per ascoltare i Pearl Jam, il dolore per la perdita di un amico. «È un momento molto duro per me, volevo bene a John», confida, «ero con lui quando ha fatto l’ultimo respiro. Vorrei che gli dedicassimo un coro, prima che il suo spirito voli via». Non ha bisogno di insistere: tutto lo stadio saluta Johnny all’unisono, fermandosi soltanto quando parte l’arpeggio di Come back. A pochi metri dal palco, ma in ordine sparso, c’è un gruppo di aquilani: anche loro hanno nel cuore un amico da ricordare:

IL PICCOLO DI TRIESTE: L’ARTICOLO 

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per lui sono arrivati a Trieste. Perché Mario Celli, il medico 32enne scomparso a fine gennaio sullo snowboard, poco prima della tragedia, aveva acquistato i biglietti per trovarsi a tu per tu con la band di Seattle di cui era un fan sfegatato. Daniele Millimaggi e Francesco Di Cola, colleghi e amici da sempre, ascoltano quelle parole da sotto il palco.

Per tutta la serata hanno stretto in mano una foto di Mario, ritratto in un’espressione sorridente, quasi euforica, come se ci fosse lui davvero a vivere quest’emozione a ritmo di rock. E Come Back è la ballata del ricordo, scritta per dire quanto ci manca chi non c’è più. Non è una canzone d’amore, ma ce ne fossero di canzoni d’amore così. Daniele e Francesco sono partiti in macchina il giorno prima del concerto, raggiungendo e facendosi raggiungere da altri amici con cui, in questi mesi, da quel giorno maledetto sul Gran Sasso, portano avanti una serie di iniziative cavalcando le passioni del giovane medico (progetti per la Costa d’Avorio, corsi di prevenzione in montagna e di pronto soccorso, concerti). Centinaia di persone, lo scorso inverno all’Irish Café di Pianola, hanno partecipato a una serata proprio sulle note dei Pearl Jam.

A suonare per Mario, in una formazione inedita messa su dallo stesso Daniele, che per la circostanza ha spaziato dalla chitarra ritmica a quella solista, c’erano Luigi Placidi (voce), Federico Fontana (basso), Carlo Leone e Lorenzo Lorenzetti (batteria) oltre a Daniele Di Iorio. “We know you’ll be a star”, è stato lo slogan della serata, adattato da un verso di Black, la canzone preferita di Mario. Quale sorpresa, a Trieste, vedersela inserire dalla band statunitense all’inizio della scaletta. «Non riuscivo a trattenere le lacrime sotto al palco», spiega Daniele. «Ogni concerto rappresenta un’emozione a sé. Stavolta, portavamo con noi il ricordo di un amico il cui spirito vive con noi». Quello stesso spirito che anima chi non si arrende a una città distrutta dal sisma e carente di punti di riferimento culturali e sociali.

Quella stessa voglia di riscatto che riempie le canzoni dei Pearl Jam. È lo stesso Vedder, verso la fine del concerto (promosso da Azalea), a invitare ciascuno dei 30mila che ha davanti a guardare oltre le difficoltà della vita. «Concentratevi sulla bellezza di cui facciamo esperienza ogni giorno. Guardate questo cielo, questa luna, io e ciascuno di voi siamo davvero fortunati». Parla pensando al suo John, mentre gli amici aquilani stringono forte la foto di Mario.

di Fabio Iuliano – Fonte