Nel 1915 il Comune puntellò il centro e rifiutò nuove aree
L’AQUILA. Le aree abitabili, la paura dei residenti di rientrare a casa, la necessità di puntellare il centro storico: anche se il terremoto del 1915 investi principalmente la città di Avezzano, il capoluogo d’Abruzzo si trovò a fare i conti con problematiche analoghe a quelle attuali. Lo dimostra una relazione tecnica redatta presentata da una Commissione incaricata all’amministrazione comunale dell’epoca che contemporaneamente rappresentò la necessità di intervenire sul centro storico e ribadì il rifiuto di costruire su nuove aree residenziali senza prima intervenire sui siti già esistenti. “Onorevole signor Sindaco e Signori della Giunta”, si legge nel documento redatto _ tra gli altri _ dal senatore Vincenzo Camerini. “In un momento, in cui sotto l’ansia dubbiosa della paura, l’anima della città nostra si agitava alla ricerca di un asilo che la difendesse dalle conseguenze terribili del terremoto, d’abbandono definitivo della nostra terra alla creazione di case di legno, che solo un eccessivo panico poteva giustificare, Voi pensaste di dare a questa agitazione un indirizzo logico e sennato per far sì che essa si risolvesse a vantaggio e decoro della città, che si voleva isolare proprio nel momento in cui essa, dinanzi alla minaccia della morte avrebbe avuto bisogno di riaffermarsi nella vita. Così, Voi”, si legge ancora, “senza perdere la calma necessaria innanzi al pericolo, non vi lasciaste intimidire neppure dalle querimonie e dalle insinuazioni di coloro che andavano cianciando che il vostro rifiuto a concedere le aree fabbricabili fuori dall’abitato era ispirato dal desiderio di proteggere i proprietari di case ed agiste, come sempre, pel bene di tutti”. Nella relazione la Commissione sollecita l’elaborazione di un piano regolatore, “poiché si vuole vedere aumentate le abitazioni moderne nell’ambito della città, in cui ciascuno è assillato dal desiderio di avere una nuova casa e vuole evitare ad ogni costo che sorgano nuovi centri di abitazione fuori dalle città”, si legge ancora con buona pace delle 20 aree del Progetto C.a.s.e. Del resto, all’epoca il Comune non doveva fare i conti con la Protezione Civile.