Dentro al palazzo del Governo all’Aquila venti persone incravattate che si stringono intorno a una nuova dichiarazione di intenti, quella di stanziare quasi 600mila euro per la messa in sicurezza della “Cintarella”, la strada del Fucino dove hanno trovato la morte vari dipendenti della Telespazio. Strette di mano, sguardi accondiscendenti e frasi slogan da propinare al giornalista di turno. Fuori, un piccolo gruppo di lavoratori di Telespazio, in un sit-in simbolico con un solo striscione a chiedere di fare qualcosa per quella strada, perché fra un po’ tornerà l’inverno, con nuove piogge, basse temperature, neve e ghiaccio, condizioni che hanno visto già troppe auto scivolare nei canali. Fuori, in particolare, due genitori: Roberto Giancarli e Maria Rita Di Benedetto. Sostengono uno striscione con la foto del loro Alessandro, morto a 23 anni a pochi metri dalla sede di Telespazio.
Da quella mattina in cui il giovane precipitò nel canale a causa del ghiaccio sul fondo stradale chiedono contezza degli interventi su quella strada. Niente. Tavoli, tavoli e promesse. Ma nessuno ha messo le mani sulla Cintarella. «Questi promettono e basta, ma nulla cambia», sibila la signora Maria Rita che, scherzo del destino, venti anni prima perse un fratello nelle stesse circostanze. «Stanno lì, magari si interessano, ma cosa ne sanno del dolore di una madre che ha perso il figlio. Chi me lo restituirà?», prosegue, «sento ancora il suo odore in una casa dove lui non c’è più». Da allora, questa battaglia per la messa in sicurezza della strada è diventata una ragione per andare avanti. «Non si può morire per andare a guadagnare un pezzo di pane», ripete più volte, «proprio non si può».