Intervista su Oceans per Da me leggono i primi
Riporto un’intervista comparsa sul blog Da me leggono i primi
Leggendo la tua bio sappiamo che sei giornalista, insegnante, blogger di eventi e inchieste sull’immigrazione, musicista e anche scrittore. Come concili tutti questi impegni?
Rileggiamo insieme la bio, io sono insegnante e giornalista e ogni tanto c’è da dire che conciliare una lezione frontale, un live report o un lancio di agenzia non è facilissimo. Il resto appartiene al mio essere “turista” delle mie passioni, a partire da musica e sport. Uso molto la musica in tutto quello che faccio (scrittura, insegnamento, giornalismo). Non sono un fanatico di sport, mi piacciono il triathlon e la corsa endurance con prove che affronto rispettando la regola zen “never hasten your pace – mai affrettare il passo”. Correre una maratona ti insegna a stringere i denti fino al traguardo, fregandotene delle crisi inevitabili del 27esimo chilometro. È in qualche modo una metafora di vita.
Parlando del tuo romanzo, ti confesso che inizialmente ho avuto difficoltà ad entrare nella trama perché molto lontano dalle mie abituali letture, ma anche per questo ho apprezzato la tua scelta, perché credo tu sia consapevole del fatto che non si tratti di una lettura “semplice”. Descrivi il tuo romanzo con tre aggettivi per incuriosire un nuovo lettore…
Quello della difficoltà strutturale era un rischio che dovevo correre perché, al di la di quello che succede nella storia, molto si gioca nel flusso di coscienza del protagonista. E la testa del protagonista funziona così, in maniera complessa. A dirla tutta la vera protagonista è l’assenza, intesa come qualcosa da elaborare prima che ti logori dentro. Da giornalista ho un uso molto prudente degli aggettivi comunque ci provo: musicale, ironico, psicologico.
Come è nata l’idea di Oceans? Lo hai scritto più per te stesso o per comunicare qualcosa agli altri? E quanto Fabio Iuliano c’è in Simone?
Se parliamo di scrittura creativa (e non di giornalismo), scrivo per me ma comunque nella convinzione di raccontare qualcosa in cui un’altra persona possa ritrovarsi. Come avviene in quelle canzoni capaci di dare emozioni assortite a seconda di chi le ascolta. Oceans è un racconto montato al contrario: Lisbona – Bairro Alto è l’episodio di partenza, ma è l’ultimo in ordine cronologico, poi Roma e quindi Swansea, in Galles, con Parigi sullo sfondo. L’idea iniziale era di scrivere dei racconti di viaggio dedicati a luoghi per me significativi: a Parigi ho vissuto per circa un anno; a Swansea ho fatto l’Erasmus; Roma è in qualche modo “casa”, mentre Lisbona semplicemente il luogo da dove avevo deciso al progetto. Le restrizioni legate al Covid hanno mescolato le carte. Così, mentre stavo progettando il viaggio per Swansea, ho deciso di trasformare quattro racconti distinti in un’unica storia, con protagonista il personaggio già apparso in Lithium 48, il mio libro precedente. Sia chiaro, Ocean non è un sequel ma utilizza alcuni personaggi comparsi in Lithium, a partire da quel Simone che non è più quel ragazzotto di 23 anni e mezzo sognatore e imbranato. Quanto c’è di Fabio Iuliano in Simone? Moltissimo, la storia che avevo raccontato in Lithium 48 è ispirata a una vicenda reale. Per proteggerne il protagonista avevo dato a Simone molto della mia identità, a partire dai gusti musicali.
Ti va di condividere un aneddoto?
L’aneddoto che mi ha spinto a dare questo titolo viene da un concerto dei Pearl Jam a cui ho assistito a Barcellona. Poche settimane prima era morto, per un problema cardiaco, Israel Barrales, un ragazzo messicano che sarebbe dovuto essere presente quella sera: la data sul biglietto coincideva col giorno del suo compleanno. Avrebbe voluto attraversare l’Atlantico per raggiungere quel concerto. Tutto questo, nella speranza di ascoltare Oceans, una canzone del primo album. “Ogni loro scaletta è diversa, chissà che io non sia fortunato stavolta”, si era detto Israel nel prenotare il viaggio. Non aveva mai sentito la sua canzone preferita live. Dopo la sua morte, in omaggio al ragazzo, i fan diffusero sul web l’hashtag #PlayOcensforIsrael. Un messaggio talmente carico di energia da entrare nelle vibrazioni della band che, proprio a lui, dedicò una versione acustica mozzafiato della canzone. L’intero palasport era illuminato dalle torce degli smartphone puntati verso il cielo. In un’altra occasione, il frontman dei Pearl Jam aveva detto queste parole: “Non mollate, non siate tristi. Rivolgetevi a qualcuno, alla musica, a qualcosa privo di dolore, all’oceano, al cielo, alla luna…”. Ne sono sempre rimasto colpito.
Progetti futuri?
Per ora non saprei. Intanto, mi piace portare in giro, chitarra alla mano (Siae permettendo) il mio Oceans. Sto lavorando su un libro che prevede la trascrizione di 24 itinerari tra musica e viaggio, insieme alle professoresse Valeria Valeri e Antonella Finucci. Vogliamo fare una specie di “Radio di carta”. Chissà, poi, fra qualche tempo, mi piacerebbe tornare sui passi di Lithium, a Parigi.