Dai peggiori bar alle peggiori librerie: Oceans, genesi di un racconto di viaggio
“Simone vorrebbe fare una battuta alla cameriera ma alla fine lascia prevalere Nighthawks, immaginando di essere un personaggio del quadro di Hopper, I nottambuli, appunto. Nella tela, lo scorcio notturno di una strada metropolitana fa da sfondo a un grande bar illuminato da fredde lampade al neon. All’interno, tre clienti e un barista. L’espressione della coppia seduta di fronte al barman è assorta. I due si sfiorano, ma non comunicano nemmeno con lo sguardo. Nessuno nel dipinto parla. Non parla neanche Simone. C’è un tempo per aprirsi, per condividere, per comunicare e non è questo”.
Per ammissione dello stesso autore, nel libro di Fabio Iuliano, Oceans (Radici edizioni) c’è tanto dell’esperienza dei “Peggiori bar”, la rubrica semiseria attraverso la quale ha raccontato su Virtù Quotidiane degli spaccati urbani visti dall’inedita prospettiva del bancone di alcuni locali tra i più caratteristici. Nonostante il volume sia ispirato a città come Lisbona, Swansea e Roma, con continui rimandi a Parigi, non è difficile riconoscere alcuni passaggi che possono essere rimasti familiari a chi frequenta queste pagine, proprio a partire dalla descrizione del quadro di Hopper che abbiamo incontrato nella puntata dedicata al bar Four Roses.
Per non parlare dei riferimenti dichiarati al capoluogo d’Abruzzo, comprese le similitudini con la capitale portoghese, esplicitate da un bell’articolo di Mattia Fonzi dal titolo “Lisbona e L’Aquila, unite da un ponte di suoni, sapori, amore e baccalà”.
Ecco un passaggio del libro.
La ginjinha lo trasporta con la mente a casa, perché è simile alla ratafià, un liquore dolce tipico della sua zona. Non sono poche le cose che Lisbona e L’Aquila hanno in comune. Sono unite dal legame con la terra e le sue sventure – hanno subito terremoti che le hanno segnate e ridisegnate – ma anche dal baccalà, che nella città lusitana si cucina in mille modi e nel capoluogo abruzzese, invece, rappresenta da sempre la rara possibilità di mangiare pesce in montagna. Era stata sua zia Maria a spiegargli che il baccalà all’Aquila era un piatto tradizionale della festa grande e che arrivava dalla costa insieme alle aringhe. Si cucinava baccalà nelle ricorrenze e all’entrata della Quaresima. Ma un fil rouge tra le due città si ritrova, per molti versi, nel carattere degli abitanti: chiuso in una iniziale diffidenza che si apre progressivamente e con generosità. Persino il modo di parlare non è troppo diverso, specie nel suono delle “sh” e delle “nd”, tipico dell’entroterra abruzzese. Un dialetto che si ostenta in branco e che ci si sforza di attenuare mentre si flirta, stemperando una birra sfacciatamente tiepida con una citazione sfacciatamente aulica.
Poco più avanti ci sono altri riferimenti all’Abruzzo inseriti nel flusso di coscienza del protagonista.
Simone, comunque, si è sempre considerato un montanaro atipico. Uno di quelli nati con la malinconia del mare lontano, delle notti scandite dalle onde e dagli accordi di un canzoniere. Notti umide sulla spiaggia. Le sagome delle barche dei pescatori all’alba, in lontananza. Una chitarra e una sfilza di Peroni vuote, allineate sui bordi di un pattino a riva. Nei mesi più freddi gli ha sempre attraversato le vene quella mancanza. La nostalgia delle vacanze estive. Sulla sabbia, del resto, aveva avuto anche la prima esperienza con una ragazza, poco più grande ma molto più esperta di lui.
Parte dunque anche da qui, dalle scene evocate dalla rubrica dei Peggiori bar il viaggio di un giovane musicista, che ripercorre i suoi ricordi attraverso la musica e i luoghi del passato, per tornare a rivivere quella che per lui è stata la notte più importante. Un romanzo breve di narrativa contemporanea che sa di saudade e serendipity, di amore e ripensamenti, di vecchi e nuovi incontri. Un viaggio introspettivo alla ricerca di sé.
Fonte: Virtuquotidiane.it