Chicago Marathon
“E pensare che pagate pur per fare questa cosa…”. Su un cartello c’era scritto così. In effetti, una maratona è un gioco di incastri che ti sottrae tempo e risorse. La gara in realtà inizia mesi prima, con le prenotazioni di viaggio, alloggio e pettorale. E ti muovi nell’incognita di non arrivare al dunque in condizioni ottimali (l’anno scorso a Londra avevo la febbre). Devi comunque spostare il tuo corpo per 42 chilometri nell’ansia che qualcosa vada storto. Eppure, stavolta quella stessa ansia mi è passata poco prima della partenza, quando sono capitato accanto a un americano che aveva scritto sul retro della t-shirt: “8 years ago my Dad died of a brain tumor. Last year My Wife fas diagnosed with a brain tumor. I fear no Marathon”. Qualcosa del tipo: “Ho perso mio padre a causa di un cancro al cervello e a mia moglie è stata diagnosticata la stessa cosa un anno fa. Perché dovrei avere paura di correre una maratona?”. Con nelle orecchie Sirius di Alan Parson e con questo nuovo concetto ho corso sereno fino al traguardo. Buonanotte Chicago, buongiorno L’Aquila.