Il dialogo ‘visibileinvisibile’ tra Marisa Merz e Shilpa Gupta al MAXXI L’Aquila
1 Aprile 2023 Condividi

Il dialogo ‘visibileinvisibile’ tra Marisa Merz e Shilpa Gupta al MAXXI L’Aquila

Due artiste, cinquanta opere per unire luoghi e concetti lontani, come lo sono l’Italia e l’India. Taglio del nastro al MAXXI L’Aquila per l’allestimento ‘visibileinvisibile’ doppia personale di Marisa Merz (Torino 1926-2019) e Shilpa Gupta (Mumbai, 1976) che inaugura oggi la stagione espositiva del 2023 con una mostra realizzata in collaborazione con la Fondazione Merz.

L’esposizione, sotto la direzione artistica di Bartolomeo Pletromarchi e la curatela di Fanny Borel è stata presentata in anteprima alla stampa questa mattina da Alessandro Giuli, presidente della Fondazione MAXXI, Beatrice Merz, presidente della Fondazione Merz, l’artista Shilpa Gupta. In sala anche il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi e il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio. “Non è un caso che inauguriamo questo allestimento in aprile – ha spiegato Giuli – mese di Venere, periodo in cui la natura si apre alla rinascita, dopo l’inverno”.

Simbolicamente, le due artiste hanno scelto rame, cera e piombo nei lavori come elementi ricorrenti, per intavolare un dialogo tra due generazioni, due storie, in una conversazione sui temi del visibile e dell’invisibile, dell’immagine e della parola, del politico e del filosofico in un una tensione etica e poetica che si compenetra e si completa nelle opere dell’una dell’altra. Il titolo dell’opera si ispira al testo di Maurice Merleau-Ponty. “Nessuna cosa – scrive il filosofo francese – nessun lato della cosa si mostra se non nascondendone altri aspetti, denunciandone l’esistenza nell’atto stesso di nasconderli. Vedere è, per principio, vedere più di quanto fisicamente si percepisca con la vista, accedere a un essere di latenza. L’invisibile è il rilievo e la profondità del visibile”.

GUARDA L’INAUGURAZIONE IN DIRETTA

visibileinvisibile dedica ampio spazio alle opere di Marisa Merz (Torino, 1926 – 2019), unica rappresentante femminile dell’Arte Povera e protagonista della scena artistica italiana dalla fine degli anni Sessanta, Leone d’oro alla carriera nel 2013, ha esposto le sue opere nei musei più importanti del mondo come il Metropolitan Museum di New York e il Centre Pompidou di Parigi.

La mostra restituisce la varietà di mezzi e ispirazioni dell’artista che nelle sue opere, volutamente fuori da ogni tipo di definizione, esprime l’intimità del gesto artistico, lontana da mode e tendenze. Dai grandi disegni che evocano figure angeliche e spirituali con le quali l’artista invita a volgere lo sguardo verso l’io interiore, alle opere in filo di rame intrecciato attraverso cui propone una riflessione sui confini tra arte e artigianato, a quelle in stoffa e nylon che, come tutti i materiali utilizzati da Merz, rimandano a una profonda ricerca di qualità tattile, nonché una relazione con la sua fisicità, spesso ricercata in un contesto domestico come testimoniato anche dal video La Conta (1967) presente in mostra.

Shilpa Gupta (Mumbai, 1976) vive e lavora a Mumbai, in India ed è una delle artiste più importanti della sua generazione a livello internazionale, con presenze in molte delle più prestigiose manifestazioni e musei nel mondo, dalla Biennale di Venezia, alla Biennale di Gwangju fino alla Tate Modern e Serpentine Gallery di Londra. La sua pratica multidisciplinare, ampiamente rappresentata in visibileinvisibile, comprende un’ampia gamma di media e processi come il testo, la scultura, il video, la fotografia e il suono attraverso cui vengono esplorati i confini fisici del corpo e i limiti ideologici della storia. L’artista si interessa alla percezione umana e al modo in cui le informazioni, visibili o invisibili, vengono trasmesse e interiorizzate nella vita di tutti i giorni. Nel suo lavoro emergono temi quali le barriere di genere e di classe, le differenze religiose, il potere degli apparati statali repressivi e gli effetti negativi che questi producono.

I lavori di Shilpa Gupta in mostra – disegni, installazioni, sculture, proiezioni – interagiscono con il pubblico che partecipa attivamente, diventando parte integrante delle opere. È così in Shadow3, video installazione immersiva in cui il visitatore è coinvolto in un gioco di ombre sorprendente e mutevole. O in I Will Die, specchio coperto da un sipario che le persone devono aprire per scoprire il messaggio nascosto.

In 24:00:01, costituita da uno di quei segnali di vecchie stazioni ferroviarie che indicano gli orari dei treni, un flusso di pensieri dell’artista scorre tra concetti legati al vissuto personale e riflessioni che riguardano la vita sociale e politica dei cittadini. In Spoken Poems in A Bottle, Gupta racconta di poeti interdetti, esiliati e censurati, mentre in 100 Hand Drawn maps of Italy accende l’attenzione sui confini imposti dai poteri centrali nel tentativo di far prevalere la nazionalità sul multiculturalismo e di imporre il controllo sociale. In Map Tracing #9 – Italy, scultura creata per questa mostra, la sagoma dell’Italia è delineata da un sottile filo di rame e allude alla fragilità del concetto di nazione e alla sua natura di costrutto artificiale.

La relazione creata fra le opere delle due artiste nelle luminose sale di Palazzo Ardinghelli, nel cuore dell’Aquila, attiva percorsi che superano ogni limite e ogni confine e, dall’interno, si liberano verso altri spazi. Attraverso l’arte, il “vedere”, tradizionalmente privilegiato dalla cultura occidentale e il “sentire” in quella orientale, conducono a ripensare le categorie fondamentali su cui queste culture si fondano.

Al termine della presentazione una performance degli studenti dell’Iis Amedeo d’Aosta e del Convitto Nazionale Domenico Cotugno dell’Aquila in giro in centro con dei palloncini bianchi con la scritta “I want to live with no fear” (voglio vivere senza paura).

“Sono molto orgoglioso di inaugurare questa mostra dedicata a due artiste straordinarie che, con le loro opere, invadono le sale di Palazzo Ardinghelli modificandone gli spazi in un dialogo intenso e teso fra visibile e invisibile – spiega Pietromarchi -. Ecco allora che fra i poeti interdetti ed esiliati per impedirne il dire di Gupta e le sottili presenze angeliche che volteggiano nelle opere di Merz s’instaura un dialogo pregnante sul senso del vedere e del mostrare, sul nostro rapporto con l’essere, affrontato da due culture profondamente diverse eppure dialoganti”.

“Nel lavoro di Marisa Merz – sottolinea Borel – la distanza tra la vita privata e quella artistica si annulla; l’invito per lo spettatore è quello di allontanarsi da una visione razionale per prediligere uno sguardo interiore, di addentrarsi con l’immaginazione al di là del visibile per accedere all’invisibile. Nella mostra il corpo delle artiste diventa metro di misurazione della realtà, una base da cui partire per la realizzazione delle opere. Shilpa Gupta che osserva, analizza e risponde con la propria sensibilità a temi socio-politici, parte dalle sue possibilità fisiche sviluppando un racconto che muove dal suo vissuto personale fino ad attivare riflessioni che coinvolgono il pubblico”.