Olena Turyanska tra pietre e ponti
Il corpo di lavori Cosa farò con questa pietra di Olena Turyanska, di Leopoli (fotografie, testi, audio, un’installazione di sale e un’altra che evoca una finestra verso il paesaggio abruzzese) parte da una riflessione sulla prospettiva di Leon Battista Alberti per indagare la realtà storica e sociale del territorio di Fontecchio.
Cosa farò con questa pietra
Cuore di pietra, pietra d’inciampo. Pietra sopra pietra. Pietra di paragone, raccogliere pietre, spargere pietre, pietra miliare, pietra angolare, posare la prima pietra + mettere una pietra sopra, farsi di pietra (…).
Le montagne. Il fiume nella valle, gli alberi, la cittadina sulla collina – una combinazione di pietra locale bianca e legno argentato, invecchiato dalle intemperie. Qui c’è tanta pietra. Qui quasi tutto è fatto di pietra. Tra i rumori delle gru che lavorano al cantiere vicino, s’intuisce l’inizio dell’allarme aereo. Questi suoni sono ossessionanti, perché qui le gru sono parte integrante de paesaggio locale. È in corso una grande ricostruzione dopo il terremoto del 2009. Questi luoghi hanno subito gravi danni, molte persone sono morte. Di alcuni edifici non è rimasta letteralmente pietra su pietra. Guardando le foto scattate subito dopo il terremoto, vedi rovine, case senza facciate con gli interni spogli di cucine e camere da letto, feriti confusi in coperte che aspettano i soccorsi all’aperto, file di bare nei cimiteri locali. L’afflizione umana. È un’esperienza a noi molto familiare. Con un’enorme differenza. Lì è stata la forza della natura, da noi è la decisione malvagia e consapevole delle persone. Qualcuno raccoglie pietre e qualcuno le sparge. e non finisce mai.
IL PONTE
Sono arrivata in questo posto meraviglioso nel settimo mese della guerra. Una proposta di residenza artistica. Un’occasione per pausa, una possibilità di fare qualcosa. L’Italia centrale, l’Abruzzo, le montagne. i boschi, i piccoli borghi inseriti nei paesaggi, come su antiche tele, il silenzio la calma, la costanza e la continuità. In base alle mie esperienze precedenti, la bellezza che mi circonda, la natura, la solitudine mi hanno sempre dato la forza di riavviarmi, di sincronizzarmi con tutto ciò che considero il meglio del mondo, di prendere un momento di silenzio, di fermarmi, di inspirare ed espirare.
Solo che questa volta non potevo né inspirare né espirare,
Quello che sì era accumulato fin dai primi giorni dell’invasione – rabbia, rammarico, impotenza, shock, intorpidimento, attività febbrile e replay nella testa – lo affronterò più tardi;
i suoni delle sirene, i rombi delle esplosioni, i notiziari, i racconti delle persone a casa mia che sono spuntate dal nulla e poi scomparse nel nulla, ma le loro storie, il loro senso di colpa, la loro sindrome del sopravvissuto, l’intero caledoiscopio di cose inimmaginabili che erano accadute a tutti noi si sono fusi in un pesante blocco. Un fardello di cui non mi sono nemmeno resa conto fino a quando non sono arrivata qui. Un fadello che non mi permetteva di dormire, mangiare o vivere.
Il contrasto tra la vista splendida dell’alba che si apre dalla terrazza e le ultime notizie dal fronte e dai territori liberati, il colore rosso della mappa dell’allarme, dove i bombardamenti stanno avvenendo proprio ora, proprio in questo momento mi imponeva una grande domanda cosa sto facendo qui? cosa posso fare? Un senso di disperazione e impotenza.
Ho camminato molto. Percorsi lunghi su strade, sentieri e piste deserte. Incredibile bellezza intorno, microcosmi di pietre, piccole piante, piccole piante, muschi rami, pigne, conchiglie — tutto ciò che amo osservare e che fin dall’infanzia mi ha portato in quello stato di vuoto interiore, quando ti arrivano le tue intuizioni private, non funzionavano più, Non funzionava più niente. Un giorno mi resi conto che ero rimasta a lungo vicino al fiume. Si tratta di un piccolo fiume con un flusso piuttosto calmo, ma si può giudicare dal paesaggio circostante quanto possa diventare temibile dopo le piogge. Vecchi alberi, lunghi capelli di alghe nell’acqua limpida sotto i vecchi ponti di pietra. I piccoli ponti sono come triangoli levigati con il punto più alto sopra l’arco centrale Dolcemente in su e dolcemente in giù. L’incarnazione perfetta dell’equilibrio, il desiderio infantile di trovarsi nettamente sulla cresta dell’onda.
Un artista peruviano, che vive qui, mi ha invitato a vedere un film. La scelta era incredibilmente appropriata: Leaning into the Wind del 2017, sulle pratiche di Andy Goldsworthy, anche con il proprio corpo. Da tempo ammiro la profondità e la veridicità di quest’uomo. L’apparente semplicità dell’espressione, che di solito richiedeva un grande sforzo fisico, la massima concentrazione e un’infinita perseveranza dell’amore e della pazienza. Nel film si sdraia su diverse superfici, fondendosi con esse e lasciandovi per un po’ le tracce del proprio corpo. Sotto la pioggia – la sagoma asciutta di una persona sulla superficie coperta di neve – una traccia del calore del proprio corpo. Queste tracce scompaiono gradualmente, si dissolvono, si fondono con l’ambiente. Per qualche motivo mi è venuta in mente la pratica buddista di distruzione del mandala di sabbia. Sono stata molto grata per questa serata che mi ha riportato per un breve periodo alla mia vita precedente. Il giorno prima di partire per Roma. sono tornata sul ponte. Ero felice di tornare a casa, sapendo che lì sarei stata più serena. Ero un po’ triste di lasciare questo luogo dove, nonostante tutta la bellezza che mi circondava, non potevo fare nulla, liberarmi di nulla. dissolvere o trasformare nulla in me stessa, ma sentivo molto chiaramente la mia impotenza e la mia disperazione. Sono salita sul ponte e, ricordando il film, mi sono sdraiata sopra. Sdraiata proprio sulla cresta del ponte. Con i piedi in direzione della corrente. Faceva caldo, il sole splendeva. ero sdraiata sulla pietra riscaldata del vecchio ponte. Sotto di me scorreva il fiume. Ho chiuso gli occhi e mi sono immaginata come parte di questo fiume. Devo essermi addormentata. Quando ho aperto gli occhi, ho avuto la forte impressione di essere cullata dalle braccia del fiume, di questo ponte e di tutta la bellezza circostante. La sensazione di calore e di pace scomparve rapidamente. Il peso della pietra dentro non si è dissolto.
Ma dava speranza.
(Traduzioni di Mariana Prokopovych)