Bahrami: “Suono per il mio Iran flagellato”
Un viaggio tra tasti bianchi e neri, corde e archi nell’universo di Johann Sebastian Bach, alla ricerca di quella musica «che aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori», per dirla con le parole dello stesso compositore tedesco. Due appuntamenti, a Milano e L’Aquila, che vedono I Solisti Aquilani schierati insieme a Ramin Bahrami, tra i maggiori interpreti al mondo del repertorio bachiano.
La ricerca interpretativa del pianista iraniano è rivolta da anni alla monumentale produzione tastieristica del genio di Lipsia, che affronta con il rispetto e la sensibilità cosmopolita di cui sono intrise la sua cultura e la sua formazione. La musica gli ha cambiato la vita quando, ancora bambino, ha dovuto lasciare il suo Paese, l’Iran, e rifugiarsi in Europa, mentre il padre moriva nelle carceri di Khomeyni. Le influenze tedesche, russe, turche e naturalmente persiane, che hanno caratterizzato la sua infanzia, gli permettono dunque di accostarsi alla musica di Bach esaltandone il senso di universalità. Il primo appuntamento è in programma mercoledì 19 a Milano, nella Sala Verdi dell’omonimo Conservatorio. Venerdì 21, due giorni più tardi alle 18, all’Auditorium del Parco ci sarà un secondo concerto, stavolta nel capoluogo. In programma, il Concerto italiano in Fa maggiore BWV 971, il Concerto n. 3 BWV 1054, la Partita I in Si bemolle maggiore BWV 825, il Concerto n. 5 in fa minore BWV 1055 e il Concerto n.7 in sol minore BWV 1058. Prevista anche la sinfonia in Sol maggiore per archi di Carl Bach, figlio del celebre compositore. Buona parte del repertorio è pensato per pianoforte e orchestra e ben si adatta a questo incontro artistico. «Sono onorato di questa collaborazione», spiega Bahrami, «che mi porterà all’Aquila a suonare in uno spazio inaugurato dal maestro Claudio Abbado. Ci tengo a dedicare questi concerti al mio Paese di origine, per tutto quello che sta succedendo, non solo oggi, ma da quarant’anni a questa parte. Poter danzare, baciarsi pubblicamente, cantare le canzoni di Michael Jackson, solo per citare alcune libertà fondamentali, sono atti repressi puntualmente in Iran e la cosa sembra sfuggire ai più».
Eppure maestro, in questo momento, anche alla luce della spaventosa vicenda di Masha Amini, la ragazza curdo-iraniana di 22 anni morta dopo l’arresto per aver indossato l’hijab in maniera non appropriata, c’è un’onda di indignazione internazionale.
Sono profondamente grato a tutte le persone che stanno manifestando, anche qui in Italia. Però tutto questo rischia di finire nel dimenticatoio, senza un forte pronunciamento a livello politico. Anche il sangue iraniano è sacro, non solo quello ucraino.
Spesso queste proteste in strada sono accompagnate da canti popolari come Bella ciao o ballate recenti – ma non recentissime – come Another love di Tom Odell, quasi come se oggi si facesse fatica a comporre della musica originale di denuncia.
La vena artistica rischia di esaurirsi, i cantautori hanno sempre meno idee. Paradossalmente, le potenzialità del digitale, capace di trasformare anche dei banali suoni domestici in hit, hanno delle ripercussioni sulla creatività. Oggi chiunque si considera un musicista, pure quelli che possono vantare competenze inferiori a quelle di mia figlia di 8 anni. Non voglio fare un discorso da “talebano”, anteponendo la musica classica a tutti i costi. Bello andare in discoteca, ascoltare rock. Però sono consapevole di quanto la tradizione classica possa contribuire allo sviluppo armonico di una canzone. Non parliamo di arrangiamenti noiosi o antiquati, ma di musica giovane che deve essere abbracciata.
Quale messaggio si sente di lanciare attraverso la musica di Bach?
Le sue composizioni ci insegnano il rispetto dei singoli suoni e delle singole voci: se una di queste è stonata o va fuori tempo e non si relaziona con le altre, si distrugge l’insieme. Una questione di dialogo. Ce n’è bisogno. Altro che armi: dovremmo mandare della musica nei luoghi di conflitto, in un momento in cui nessuno sembra interessato soluzioni diplomatiche. Dobbiamo invece riprenderci il bello, in un percorso di nuova luce. Solo così supereremo questa minaccia mondiale. Devo crederci, sono ottimista per natura. E magari l’umanità di domani ritroverà una sua dimensione, un ritmo più lento.