Michele D’Attanasio, intervista dopo il David
6 Maggio 2022 Condividi

Michele D’Attanasio, intervista dopo il David

Ogni estate la vecchia Autobianchi di famiglia percorreva i 600 chilometri che separano Pescara da Trento, la città della famiglia materna. Il viaggio iniziava da Pescara di notte e le luci dell’alba si cominciavano a intravedere verso la fine del tratto di Adriatica. I colori del mattino, con il sole che spunta dal finestrino e piano piano si trasforma in una palla infuocata. Nei ricordi d’infanzia di Michele D’Attanasio ci sono già quei primi giochi di luce che negli anni lo hanno condotto a una carriera brillante come direttore della fotografia. Martedì è arrivato per “Freaks out” di Gabriele Mainetti il suo secondo David, nella categoria Miglior autore della fotografia in ex aequo con Daria D’Antonio, premiata per “È stata la mano di Dio”.

Pescarese, 45 anni compiuti, D’Attanasio aveva vinto la prestigiosa statuetta già nel 2017 per “Veloce come il vento” di Matteo Rovere. Nel suo ruolo è tra i più richiesti in Italia, tra le collaborazioni spiccano quelle con i registi Nanni Moretti, Mario Martone, Sergio Rubini, Pippo Mezzapesa, Michele Soavi, Marco Bonfanti, Edoardo Winspeare, Claudio Noce, Vito Palmieri. «Voglio dire a tutti i ragazzi come me, di provincia, di lavorare per il proprio sogno. Ce la possiamo fare», ha detto dal palco degli Oscar Italiani.

Per quale motivo nelle parole di ringraziamento ha ritenuto importante mettere davanti la sua storia di formazione di provincia?
«Perché è parte integrante del mio percorso, della mia storia. Lavoro stabilmente a Roma, ma sono arrivato al cinema formandomi prima nella mia città, un capoluogo di provincia e poi a Bologna. Mi sono iscritto al Dams con formazione specifica per il Cinema, una facoltà che rappresentava il sogno di tanti giovani che speravano di confrontarsi con il grande schermo. Questa esperienza bolognese per me è stata fondamentale, perché ha rappresentato uno step intermedio, fondamentale per arrivare a Roma con il giusto bagaglio e con lo sguardo giusto. Ma all’Abruzzo sono legatissimo e c’è un filo speciale che mi avvicina a Donatella Di Pietrantonio, anche lei premiata».

Un filo che la ricongiunge alle origini?
«Mio padre Stelvio ha insegnato a Penne e si è trovato a conoscere la scrittrice. Lei si ricorda di me da piccolo. Ce lo siamo detti l’altra sera. Proprio da mio padre, che nel 1986 pubblicò il volume “Abruzzo montagne e uomini”, ho ereditato la passione per la fotografia. Quando ero piccolo, lui mi portava in giro attraverso posti magici, talvolta sconosciuti di questa terra. Una tradizione di famiglia che sono felice di aver portato avanti attraverso il cinema. Luci e paesaggi naturali fanno di questa regione un’attrazione importante. Per questo, sarebbe fondamentale far ripartire una Film Commission in Abruzzo, dove abbiamo un territorio relativamente piccolo ma diversificato, peraltro a due passi da Roma dove ci sono le case di produzione».

Come è stato lavorare per “Freaks out”?
Un’esperienza stimolante, che mi ha portato peraltro a girare una delle pochissime scene in Abruzzo della mia carriera, la sequenza iniziale nella frazione di Castelnuovo di San Pio delle Camere. Anche in questo caso, sono convinto che se ci fosse stata una Film Commission regionale, i giorni di ripresa sarebbero aumentati. Non c’è stato modo di investire su questo territorio. Tutta la battaglia finale, ad esempio, è stata girata in Calabria. Parliamo di 6-7 settimane di riprese, con una sceneggiatura perfettamente sovrapponibile».

A cosa sta lavorando ora?
Sono sul set del nuovo film di Nanni Moretti, “Il Sol dell’Avvenire”. Abbiamo iniziato a girare a marzo.

Deve essere impegnativo lavorare con Moretti…
«Lo è con ogni regista, ognuno col proprio carattere, con la propria individualità. Ogni volta per me è importante cercare un canale di comunicazione, per interpretare la visione del film e tentare di trovare una sintonia».

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro

Foto DIrw-edg – Opera propria