Pescara Jazz, il piano solo di Carlo Morena apre la scena a D’Andrea/Douglas
11 Luglio 2021 Condividi

Pescara Jazz, il piano solo di Carlo Morena apre la scena a D’Andrea/Douglas

«È la quinta volta che suono a Pescara Jazz e questo mi fa sentire un po’ profeta in patria, perché vuol dire che chi organizza, edizione dopo edizione, continua a credere in me». A differenza delle altre volte, però, domani sera (con orario anticipato alle 19, per la partita dell’Italia) ci sarà solo il suo pianoforte sul palco allestito al Porto Turistico di Pescara. Dopo di lui, nella stessa serata, il D’Andrea/Douglas Quartet, contraddistinto dalla tromba di Dave Douglas e dal pianoforte di Franco D’Andrea. «Il mio storico maestro», sottolinea Morena, «un punto di riferimento per tanti pianisti non solo nel panorama jazz. Sono onorato di condividere lo stesso palco. Questa coincidenza rappresenta un’occasione davvero stimolante».

Pescarese di origine, ha iniziato studiato al Conservatorio cittadino, ma il diploma in Pianoforte principale è arrivato al Licinio Refice di Frosinone dove ha anche frequentato il primo corso straordinario di jazz con Gerardo Iacoucci. In bacheca anche il diploma accademico in Musica jazz al Conservatorio Verdi di Milano, dove attualmente insegna nella prima cattedra di Pianoforte jazz. Una carriera didattica di tutto rispetto con esperienze a Barcellona, Lisbona e per i Conservatori di Bari, Genova, Parma, Como, Brescia e Pescara. Ha suonato con i migliori jazzisti del panorama internazionale: Enrico Rava, Kenny Wheeler, Paolo Fresu, solo per citare i trombettisti. Jorge Rossy, Antonio Sanchez, Roberto Gatto tra i batteristi e Bill Crow, Arild Andersen, Ares Tavolazzi, tra i contrabbassisti. Ma stavolta l’energia è quella del piano solo.

«Ci si confronta con la tabula rasa del pianoforte», spiega. «Lo strumento è sempre un grande amico, ma anche un grande amico che intimorisce e bisogna cimentarsi con un percorso artistico che abbraccia tutta la storia del pianoforte jazz. Non c’è nulla che lascerei fuori e nulla che io considero secondario, dallo stride piano alle avanguardie più recenti, senza escludere le sperimentazioni».

Tradizioni e stili che si propongono «come risorse da utilizzare una volta seduti davanti allo strumento. Ma ciascuna sfida artistica si presenta come un fardello da affrontare in un momento in cui nessuno di noi fa veramente bene tutto e ci sono dei passaggi in grado di mettere in crisi anche i grandi nomi del pianoforte, ciascuno dei quali porta sul palco la propria specificità: Franco D’Andrea non fa bene alcune cose come riescono invece a Enrico Pieranunzi, eppure – viceversa – a quest’ultimo non riescono alcuni approcci che contraddistinguono le qualità del primo».

di Fabio Iuliano – fonte: il Centro