La luce che attraversa il cemento
6 Aprile 2021 Condividi

La luce che attraversa il cemento

Anno 2002, il mondo contava ancora le macerie delle Torri Gemelle e i Pearl Jam si apprestavano a far conoscere la potenza silenziosa di una canzone, scritta per elaborare una tragedia vissuta in prima persona: due anni prima al festival di Roskilde in Danimarca, si erano visti morire davanti nove persone: “Lost nine friends we’ll never know – Perdemmo nove amici che non conosceremo mai”.

Venne fuori così “Love Boat Captain”, uno dei capolavori di sempre, una canzone che, prendendo in prestito quel “All you need is Love” dei Beatles, restituisce un senso nuovo anche all’arte di riscoprirsi fragili. “It’s an art to live with pain, mix the light into grey – È un’arte convivere col dolore, virare la luce al grigio”.

Quella stessa luce che nella notte tra il 5 e il 6 aprile ha fatto breccia nell’oscurità di un centro storico semideserto di una città che da troppo tempo vive di zone rosse. Un fascio di luce sostenuto da sei fari potenti per raggiungere le nuvole all’istante nel silenzio imposto dal rispetto della circostanza e del coprifuoco.

Dodici anni fa la scossa che cambiò per sempre la vita di decine di migliaia di persone. Dodici anni fa, alle 3.32, quella manciata di secondi che bastò a inghiottire sogni, progetti e aspettative di tante, troppe persone. Trecentonove non ci sono più da quella notte. Sono per loro i rintocchi – proprio 309 – scanditi uno dopo l’altro in una sequenza che sembra non finire mai. Poi un braciere acceso in piazza Duomo dalle autorità locali, insieme al cardinale Giuseppe Petrocchi, una fiamma ardente al posto delle tante fiaccole che negli anni scorsi attraversavano alcune delle strade più segnate dal sisma del 2009.

Neanche quest’anno il covid permette di scendere in strada in massa. Così, in tantissimi si sono ritrovati a lasciare accesa una “luce di speranza” dentro casa, magari condividendo il gesto “luce di speranza” dentro casa magari condividendo una foto sui social network, insieme a un’immagine di profilo temporanea con la cornice virtuale con scritto “Accendi la tua luce, 6 aprile. L’Aquila abbraccia l’Italia”.

Molto altro non si può fare anche se da parte dei familiari delle vittime è arrivato l’invito a visitare il Parco della memoria, in fase finale di costruzione in una delle piazze più colpite dal terremoto. Chi vuole può lasciare viole o primule all’ingresso, davanti a un drappo con i nomi dei 309, issato dai vigili del fuoco. Sempre a questi ultimi, attraverso le mani di Francesca Di Nino, prima donna professionista, l’onore di accendere il braciere posto davanti alla chiesa di Santa Maria del Suffraggio.

Da un’altra parte del centro, le tre croci della Passione, rimaste su davanti al sagrato della basilica di San Bernardino. I sacri legni incrociano le gru dei cantieri più vicini, nell’ottica di chi guarda da terra. Parafrasando altre parole di Eddie Vedder, il frontman dei Pearl Jam, “è difficile arrampicarsi in Paradiso quando si è inchiodati sulla croce”.

Dodici anni, il dolore intatto, i ricordi che iniziano a svanire. “Spesso si cade nella morsa del tempo incapace di ridare qualcosa indietro, maestro nell’incenerire i ricordi più nascosti, e di conseguenza i punti cardine delle storie vissute”, scrive Federico Vittorini il cantante delle Lingue, band pop-rock, che nel sisma perse madre e sorella.

“Ma il tempo non può e non deve cancellare tutto, perché quel tutto mi scorre nelle vene ogni giorno, è il mio sangue, e forse bisogna cercare solamente in modo più accurato un dettaglio, e basta poco per far sì che chiudendo gli occhi si possa tornare indietro di tanti anni, e respirare, e sentirsi meglio, anche solo per un istante”.

“Se il tempo vuole ingannarci”, continua, “noi proviamo ad ingannare lui, anche se spesso partiamo in svantaggio, perché siamo pieni di catene che ci impediscono di sentirci liberi di ricordare davvero. Sì, perché a volte anche ricordare fa paura”.

Il ricordo ci riscopre fragili ma ci dà la forza di guardare avanti, di guardare oltre. È un’arte anche quella.

di Fabio Iuliano – fonte: www.thewalkoffame.it