La cultura di pace come azione di contrasto alla povertà
30 Gennaio 2021 Condividi

La cultura di pace come azione di contrasto alla povertà

Da più parti e da diverse prospettive la riduzione della povertà nel pianeta viene posta al centro degli obiettivi dell’Agenda 2030. Questo il punto di vista di Antonella Nuzzaci (presidente del Consiglio di area didattica in Educazione e servizio sociale – Università degli Studi dell’Aquila – Dipartimento di Scienze Umane) e del professor Francesco Barone (portavoce del documento di denuncia di Denis Mukwege, Premio Nobel per la pace 2018).

Gli studi e le riflessioni sulla povertà spesso scoraggiano coloro che li compiono per le molteplici difficoltà a cui si va incontro quando si affrontano macro-fenomeni come questi sia sul piano della chiarificazione rigorosa dei concetti sia su quelli argomentativi ed empirici. Da più parti e da diverse prospettive la povertà, nelle sue molteplici articolazioni, viene posta al centro degli obiettivi dell’Agenda 2030, il cui abbattimento assume valore di priorità sia nella sua accezione “relativa” che “assoluta”.

Organizzazioni nazionali e internazionali, di volta in volta, ne hanno sottolineato caratteristiche e tratti, valorizzando l’istruzione come azione di contrasto ai suoi effetti nefasti. La povertà, come limitazione di accesso a una vasta gamma di risorse (istruzione, sanità, diritti ecc.), conduce inevitabilmente a creare popolazioni diverse nella società, separandole in due grandi segmenti, quelle “economicamente e culturalmente avvantaggiate” e quelle “altamente vulnerabili e svantaggiate”.

Tuttavia, si fa spesso finta di ignorare come le oscillazioni intorno alla soglia di povertà in periodo di pandemia producano variabilmente l’ingresso e l’uscita dagli individui da forme di povertà di natura diversa, ma comunque distintive della privazione. Tutto questo diviene maggiormente significativo quando, in emergenza, si assiste a livello nazionale e internazionale a un regresso caratterizzato da una dimenticanza nei confronti di quei paesi e di quelle popolazioni più povere che interessano milioni di persone del mondo, dove già critiche sono le condizioni di povertà.

E questo sarà determinante per Paesi come quelli africani, dove l’emergenza, aggravando i problemi strutturali, condizionerà il futuro dei prossimi decenni così come quello dell’Italia e dell’Europa, oltre che dell’intero Pianeta. In tale direzione l’assurdità del male e della sofferenza non può certo essere interpretato come un “processo inevitabile” su cui nulla è possibile fare per invertire la rotta. Ciò richiede un’analisi dinamica pronta a cogliere quali aspetti dell’educativo possano contribuire a comprendere e a contrastare tutto questo attraverso la costruzione e l’assunzione di condotte e atteggiamenti da parte della collettività, che fanno leva sulla partecipazione culturale e sociale per evitare che specifici stati di deprivazione si sommino e si riproducano, dando luogo a doppie e a triple esclusioni.

In questo quadro interpretativo della povertà, dove la “vulnerabilità”, specie quella economica, ha ramificazioni di ampia portata, colpendo persone di tutto il mondo a diverso livello, è necessario intraprendere la strada della pace e della solidarietà, della consapevolezza che nel mondo ogni giorno muoiono migliaia di bambini a causa della mancanza di cibo, della malnutrizione e delle malattie facilmente curabili.

Non è, dunque, più sufficiente predicare la pace, ma è sempre più necessario praticarla per contrastare le forme di esclusione economica, sociale e culturale determinate proprio dalla povertà. L’educazione alla pace quando diviene obiettivo della formazione si trasforma in fattore protettivo in grado di aiutare a costruire una cultura di pace, costituendo così un utile deterrente per evitare che si creino isolamento e perdita di connessioni di rete di supporto ed esclusione individuale, sociale ed istituzionale, con effetti positivi sulle forme di reciproco riconoscimento e partecipative.

Il tentativo è quello di combattere per mezzo dell’educazione quelle forme di esclusione che accrescono la vulnerabilità attraverso strumenti di pace, quali utili mezzi per aiutare bambini, ragazzi e adulti a rimuovere comportamenti e atteggiamenti sbagliati nella direzione della consapevolezza dell’importanza di contrastare le “privazioni estreme”, che richiedono, al contempo, anche politiche che assicurino la protezione e la realizzazione dei diritti civili.