Ticket to Ride, pt.7: viaggio e rovine
Il viaggio di Antonella Finucci, Valeria Valeri e Fabio Iuliano si ferma, per la settima puntata di Ticket to Ride – il programma di Radio L’Aquila 1 – fra le rovine del nostro tempo.
Fa uno strano effetto ascoltare oggi, dopo una ventina di anni, “Miss Sarajevo“, la canzone in omaggio a una città – per dirla con Paolo Rumiz – “dalla testarda urbanità che sopravvive agli inverni, ai cannoni, alle restrizioni alimentari, all’assenza di luce, acqua e gas”. Parole che rendono giustizia a una comunità capace di centellinare ogni residuo comfort, di non rinunciare ai riti di un’antica vita borghese, ai suoi concerti, ai suoi spettacoli. La canzone propone un riferimento indiretto al Qoelet, il libro che scandisce un tempo per ogni cosa: un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare. Le strofe della canzone dei Passengers, scandite da Francesca Catenacci, procedono però al rovescio, vengono parafrasate e riproposte in chiave di domanda. Al rovescio dunque: quasi per dire che a Sarajevo, in quel preciso contesto storico, avveniva tutto nello stesso momento: la guerra, le rovine, le tragedie, ma anche le occasioni di intimità di chi, come le miss dell’epoca, non voleva rinunciare alla vita anche negli aspetti più frivoli.
Quelle stesse contraddizioni che vivono in tanti all’Aquila, una delle città invisibili di Calvino. Un centro storico di una città piccola nella dimensione, ma non nelle aspirazioni. Undici anni fa la scossa. Le scelte strategiche di ricostruzione post-terremoto del 6 aprile 2009 hanno lasciato una prima impronta all’interno del centro storico, specie a ridosso dell’incrocio tra il cardo e il decumano della città. Ma a creare fermento è stata la grinta di una comunità che non ha mai avuto modo di adagiarsi in un tessuto sociale accogliente, sovrapponendo le proprie passioni e la voglia di centro a una periferia che esiste e non esiste. Quella voglia di correre verso la luce che ritrovi nelle canzoni di Bruce Springsteen. Domenica 19 luglio 2009, sono da poco passate le undici di sera. Gli ultimi colpi di “Born to run” scavalcano le tribune dello stadio Olimpico di Roma, quando Bruce – proprio lui – annuncia un pezzo che non suonava da tempo: “Questa è una canzone per la gente de L’Aquila”, dice al microfono in un italiano incerto, ma con voce decisa. Poi fa cenno ai suoi di attaccare “My city of ruins“. Le armonizzazioni della strofa raccontano lo stato di abbandono e di degrado di Asbury park, una cittadina del New Jersey che per decenni ha fatto i conti con le ripercussioni della grande depressione, prima e gli scontri razziali dopo.
Il racconto di questa settimana ci insegna un po’ l’arte segreta di riparare la vita: l’arte di trasformare i cocci in una magnifica opera d’arte. C’è una crepa in ogni cosa, ed è proprio da lì che entra la luce. Cohen sapeva quello che diceva.