Chi ha bisogno di un palco per suonare a Manhattan?
Non giriamoci intorno: il 2020 è stato un anno disastroso per la musica dal vivo, specie nei suoi canali tradizionali. I concerti cancellati non si contano ormai più e molti locali rimangono chiusi, rendendo pressoché impossibile programmare un live, ammesso che ciò sia consentito dalle restrizioni anti-Covid. Ma c’è chi non si arrende castronerie date in pasto all’opinione pubblica come “questo non è il momento dello svago”. Anzi, se c’è un momento in cui c’è più bisogno di musica, arte in generale, è proprio quello attuale.
“Quanto sarebbe bello”, aveva detto tempo fa lo scrittore Stefano Massini, “che gli artisti, gli scrittori, i musicisti, gli attori, i danzatori, i cantanti, quelli che fanno cinema, che fanno televisione, dimostrassero quanto mai in questa situazione, che noi siamo consapevoli in questa situazione di essere come diceva Shostakovich, ovvero di essere invincibili e come tali vi dico ‘andiamo avanti’, a oltranza, è una forma di resistenza, andiamo avanti”.
A Manhattan, ad esempio, vari musicisti locali più coraggiosi stanno trovando modi alternativi per esibirsi davanti al pubblico dal vivo. Lo racconta Charley Crespo nel suo Everynight Charley’s Manhattan Beat. Un set alternativo fatto di cartelli, merchandising, valigetta per racimolare due spicci. E gente che beve birra abbassandosi la mascherina. E la magia è la stessa che respiri in strada il giorno della maratona. Set allestiti in un mercatino delle pulci all’aperto, in una galleria d’arte, sul retro di un camioncino e in un parco.
C’è davvero bisogno d’altro?