Geopandemia, quattro strade per orientarsi nel caos
L’ultima volta che ho avuto la possibilità di confrontarmi con Salvatore Santangelo è stata all’inizio di marzo. Si parlava del suo Babel (Castelvecchi editore, 2018), un libro che descrive il tentativo di “flirtare pericolosamente con le architetture segrete del mondo”, per dirla con le parole dello scrittore cyberpunk William Gibson, perché quello – a dire il vero – è l’unico modo per aprire una finestra sul futuro e comprendere i cambiamenti che la società globale sta vivendo.
Mentre parlavamo, ero molto meno consapevole di Salvatore di camminare sull’orlo di un precipizio o quantomeno di uno spartiacque che necessariamente avrebbe segnato un prima e un dopo negli scenari planetari. Ecco, “Geopandemia, decifrare e rappresentare il caos”, il nuovo lavoro del giornalista e docente universitario – sempre per Castelvecchi – aggiorna la mappa di queste nuove architetture e connessioni globali, alla luce di quello che è successo nell’ultimo anno. Un anno in cui, dinamiche e relazioni di molti Paesi hanno fatto i conti con un’emergenza sanitaria inedita.
“Geopandemia” delinea ben 4 traiettorie da seguire, per intuire, i contorni del mondo che verrà:
- per affrontare le nuove sfide si dovrà attingere alla saggezza degli antichi, nel cui orizzonte esistenziale era sempre presente la dimensione “tragica” della storia;
- la fiducia tra cittadini e istituzioni (e la capacità stessa di generare fiducia) sarà un asset strategico;
- si assisterà a un rinnovato protagonismo dello Stato in campo economico e a una crescita delle sue articolazione e degli apparati burocratici;
- la competizione tra le potenze si misura e si misurerà sempre più sulla qualità del capitale umano, in questo senso la sfida è sulle biotecnologie, sui calcolatori quantistici, sull’intelligenza artificiale e sulla capacità di collezionare e analizzare dosi sempre più massicce di dati.
Esperto di politica internazionale e di storia del Novecento, Santangelo studia la dimensione mitica nell’attualità occupandosi di “geosofia”, quella che John K. Wright ha definito come l’esplorazione «dei mondi che si trovano nella mente degli uomini». Tra le sue pubblicazioni: Frammenti di un mondo globale (2005), Le lance spezzate (2007), GeRussia (2016) e Babel, come detto sopra. Ha firmato reportage dai Balcani (1999), dall’Ulster (2000 e 2002), dalla Libia (2012), da Israele (2013 e 2015) e dalla Siria (2017).
Santangelo, vorrei ripartire da una tua risposta uscita fuori nella nostra precedente conversazione. Sono parole che mi hanno particolarmente colpito, e devono aver colpito anche te, visto che in parte le ritroviamo nella quarta di copertina di questo nuovo volume: “Il Covid19 sarà il cigno nero che metterà all’angolo quella che Ulrich Beck ha battezzato come la ‘Società del rischio’. E all’attuale emergenza sanitaria, nei prossimi mesi, si unirà una recessione globale. Si tratterà di una crisi ancor più devastante di quella del 2008 perché, in questo caso, impatterà sul versante della produzione. Tutto ciò segnerà un netto spartiacque tra un prima e un dopo” (9 marzo 2020 – ndr). L’evoluzione degli eventi sembra confermare le previsioni. Ma come sono andate veramente le cose?
Non ti nascondo che mi fa una certa impressione rileggere queste parole che allora stonavano con la cantilena, imperante, dell’“andrà tutto bene”. Cercavo di spiegare che questa sfida – pandemica, biopolitica, tecnologica – andava affrontata come una lunga maratona; al contrario abbiamo consumato le nostre energie emotive, intellettuali e fisiche (visto che ansia e stress colpiscono anche a questo livello) in quella che veniva descritta (dai media e dal mondo politico, sia al governo che all’opposizione) come una gara sulla corta distanza o al massimo come una gara di mezzofondo. Devo fare una premessa per i lettori, che potrebbero essere pregiudizialmente ostili nei confronti di chi ritengono faccia analisi dalla propria bolla di confort: sono una Partita Iva dal 2003 e un imprenditore nel campo della formazione; un settore che sta subendo delle profonde e drammatiche trasformazioni… Personalmente, non voglio arrendermi a una visione spietatamente liberista che appare pronta a sacrificare sull’altare dell’efficienza e del profitto chi è rimasto indietro, chi non ce la fa, “i non produttivi”. Oggi – a livello globale – va posto il tema del possibile cedimento del tessuto sociale in presenza di una calamità di queste proporzioni. In tal senso, sono convinto che, per affrontare tutto ciò, assieme a strumenti di politica monetaria non convenzionali di entità mai vista prima – forse neanche al tempo del New Deal – dovremo implementare un nuovo modello di economia sociale di mercato, dove il mondo del lavoro sia saldamente ancorato al sistema sociale.
Veramente la crisi di questi mesi ha impattato sul versante della produzione? Sembra invece che tanti sforzi siano profusi per preservare la produzione, mentre soffre il commercio al dettaglio.
La pandemia ha impattato su un trend che si era già messo in moto nel 2019: basta guardare il crollo, in tutti i Paesi occidentali, ma ancor più in Italia, dell’indice della produzione industriale; crollo che si era registrato già nell’ultimo trimestre dello scorso anno. È vero che alcune filiere stanno reggendo, quelle maggiormente integrate con il tessuto produttivo europeo, in particolare quello tedesco, ma il Paese ha bisogno di una risposta sistemica, e questa può emergere solo, come afferma anche il Financial Times, se ci libereremo dai tanti luoghi comuni che hanno anestetizzato e reso per lo più sterile il dibattito politico. Permettetemi una piccola nota polemica, in termini di politica industriale, il miracolo italiano è stato esemplificato dalla motorizzazione di massa, oggi si pensa forse di replicarlo con il bonus per l’acquisto di monopattini elettrici, prodotti tra l’altro in Cina? Anche la crisi del commercio al dettaglio non è un fatto episodico o legato al covid: negli Usa – che ci anticipano di almeno un decennio – hanno subito “l’Apocalisse del mondo retail” generata da Amazon; e qui si apre il tema della tassazione degli OTT e dello sfruttamento del lavoro che sono spesso alla base del successo di questi sistemi imprenditoriali. Temi posti – nella campagna elettorale statunitense – sia dall’ala sinistra del Partito Democratico (pensiamo alla piattaforma di Bernie Sanders) che da una parte consistente del Partito Repubblicano trumpizzato.
A livello globale, le misure di contenimento hanno messo in discussione dei parametri e delle libertà acquisite in due secoli di Stato di diritto. Dinamiche simili magari a quelle descritte da Chomsky. Quanto consapevolezza c’è di questo?
Mi sembra che non ce ne sia alcuna. Ma è comprensibile. Come dicevano i latini: “prima vivere e poi filosofare”. Se si dovesse arrivare alla scelta tra ordine e libertà, prevarrebbe certamente il primo: salute, sicurezza sociale nel senso più ampio, approvvigionamento dei beni di prima necessità; è chiaro che vinceranno quei sistemi che saranno in grado di assicurarli. Comunque questo non ci esime dall’impegno morale e civico per denunciare e contrastare gli abusi (come in Polonia): la soluzione della crisi in atto non sta nelle formule già usurate, ma in una nuova architettura politica che ci consenta di conservare e incrementare gli attuali livelli di benessere, senza dover rinunciare al sistema delle garanzie democratiche.
Attraversare i confini oggi è quanto mai difficile a qualsiasi livello. Che implicazioni comporta?
Sinceramente non so se è così; le merci continuano a spostarsi, e continua a esserci una umanità in costante movimento, sospinta dalle più diverse ragioni, che nei modi più disparati, legalmente o illegalmente, affronta l’attraversamento di un confine. E questo dal Rio Grande, a Lampedusa, fino alle isole dell’Egeo. C’è qualcosa di più forte di tutto, ed è un qualcosa su cui dobbiamo riflettere a fondo.