Le nostre colpe e quelle degli altri
Cercando storie per il nuovo programma di Radio L’Aquila 1 – Ticket to Ride, mi sono imbattuto nella vicenda della poetessa Veronica Franco, ben raccontata anche attraverso il film Dangerous Beauty – Padrona del suo destino. Una vicenda, quella della poetessa cortigiana veneziana, che si incrocia con un’epidemia di peste che colpì anche Venezia nel XVI secolo. Poiché all’epoca la città era ritenuta di costumi licenziosi e promiscui, montò un’ondata di fanatismo che interpretava la pestilenza come castigo divino. Del resto, la gente aveva bisogno di risposte semplici e immediate a problemi complessi e talvolta si accontentava dell’intervento dell’inquisizione che ne “puniva uno per ‘educarne’ cento”.
Ieri sera, passeggiando per la mia città semideserta mi è venuto in mente che non siamo poi tanto diversi dalla gente di quell’epoca. Passiamo il tempo ad accusarci a vicenda – oggi abbiamo anche le gogne digitali – mentre facciamo i conti con regole e circostanze che ci spingono ad autoisolarci a discapito di tante attività commerciali, costretti a scegliere se tirare avanti o abbassare le saracinesche. Nessuno ti costringe a chiudere, sia chiaro: così non c’è neanche da stanziare fondi per eventuali risarcimenti.
Un approccio subdolo e moralistico – come fa notare Domenico Guarino – che si nutre delle dinamiche del nostro tempo per nascondere “tutto quello che si doveva fare e non è stato fatto (trasporti, ospedali, medicina territoriale, protocolli di cura, Rsa, classi pollaio, mancanza di spazi adeguati etc. etc.)”.
Però noi preferiamo continuare ad accusarci a vicenda e poco ci importa se, oltre a mortificare l’approccio didattico scolastico, rischiamo di farci togliere anche teatri e cinema, presìdi culturali fondamentali. Luoghi in cui, peraltro, è stato dimostrato che il contagio è pressoché nullo.